
Non piange il telefono ma almeno, un po', singhiozza. Già perché, dato per scontato che (piaccia o no) buona parte dell'esito della guerra in Ucraina passi per le scelte di Donald Trump, il fatto che il presidente americano abbia ancor una volta chiamato prima Putin che Zelensky è già significativo. Che il presidente ucraino sia poi in attesa, fa pensare che la sua posizione sia marginale nelle scelte del tycoon, pronto a trattare ben più con la Russia (e per la Russia) che a favore di Kiev. E sposare in qualche modo le richieste di Putin, è noto, può significare per l'Ucraina solo e soltanto quella resa che Mosca sogna da quasi quattro anni. Altro che pace giusta. "Spero che domani o nei prossimi giorni potrò parlare con il presidente Trump", ha detto ieri Zelensky. Spera, appunto.
Il presidente ucraino era in Danimarca, con la premier Mette Frederiksen e i leader europei Ursula von der Leyen e Antonio Costa. Il tema centrale dell'incontro, ovviamente, l'eventuale probabile riduzione delle forniture militari americane all'Ucraina che metterebbe Kiev in condizione di non potersi difendere dai quotidiani attacchi russi. "Ovviamente, contiamo sul prosieguo del sostegno americano, ma ci sono alcuni elementi di cui l'Europa è un po' sprovvista a oggi, come i sistemi missilistici Patriot", ha detto Zelensky, aprendo una questione importante: senza il supporto, pieno, degli Stati Uniti, l'Europa sarà costretta a intervenire. E non è che dalle parti di Bruxelles siano così forniti di armi, anche se Berlino sta lavorando a una triangolazione con gli Usa per acquistare i fondamentali missili Patriot e darli poi all'Ucraina.
Mentre Trump chiacchierava con Putin, la speranza di Zelensky restava comunque quella di una posizione corretta da parte di Donald. "Non sono sicuro che abbiano molte idee comuni, argomenti comuni da trattare perché sono persone diverse. Ma se si parla di Ucraina, noi sosteniamo fin dall'inizio l'idea del presidente Trump di un cessate il fuoco incondizionato. Ho detto non una volta sola che siamo pronti a qualsiasi tipo di formato di incontro", ha aggiunto Zelensky, ribadendo la sua idea, che poi era stata proposta dallo stesso Trump, di un faccia a faccia con Putin. "Penso che in Russia solo Putin sia il vero decisore, per questo abbiamo bisogno di incontri a livello di leader se vogliamo davvero la pace", ha spiegato il presidente ucraino che, dopo lo choc iniziale, sembra aver ritrovato il consueto coraggio. "È importante per noi avere qualcosa su cui contare, e questa cosa è l'Europa. Ora che ci sono dubbi sulla continuazione del sostegno degli Usa, per noi è ancora più importante rafforzare la nostra cooperazione", ha detto, invocando l'aiuto del vecchio Continente ma anche accelerando il processo di adesione di Kiev all'Ue.
Un sostegno, quello europeo, che almeno a parole sembra non essere stato scalfito da oltre tre anni di conflitto. "Sappiamo tutti che Putin non vuole la pace, quindi dobbiamo fare pressione su di lui affinché si sieda al tavolo delle trattative. Diciotto pacchetti di sanzioni stanno colpendo il cuore dell'economia di guerra russa", ha detto la presidente von der Leyen, auspicando comunque un dietrofront di Trump sulle forniture a Kiev. "Se gli Usa hanno deciso così, sarà un serio ostacolo per l'Ue e la Nato. Noi speriamo che la partnership con Kiev continui", ha aggiunto la premier danese Frederiksen, a capo della presidenza di turno Ue confermando che "l'Ucraina appartiene all'Unione europea".
Ma intanto, il problema per Kiev è drammaticamente attuale. Le armi americane già stoccate in Polonia e pronte per essere mandate in Ucraina, tra cui missili di precisione sistemi di difesa, sono ora bloccate.
Secondo il Wall Street Journal, ci sarebbero almeno due dozzine di missili Patriot, due dozzine di sistemi di difesa aerea Stinger, oltre a missili aria-terra di vario tipo. Tutto fermo, tutto bloccato. Con l'Ucraina sotto attacco in attesa e appesa a un filo. Quello di un telefono che forse non piange ma forse chissà.