di Bettino Craxi
...(Craxi analizza il «teatrino della storia» politica italiana)... «Ecco che, ancora, in questo drammatico panorama parrebbe ergersi una figura diversa, classica oserei dire, lineare, volutamente votata all’ordine, al rispetto delle regole (di quali però?), alla metabolizzazione frettolosa e acritica delle coscienze, al ripristino di uno Stato etico che, comunque, si muove nella medesima altrui direzione; quella della restaurazione e dello stigma notarile della fine della democrazia. E costui risponde al nome di Fini. Un nome che già nel suono nulla dice, nulla suggerisce (a parte lo spot sui tortellini), e che si può sussurrare in fretta. E dimenticare in fretta. Un nome senza echi, nella storia di un partito che la storia dovrebbe aver definitivamente segnato. Un personaggio che ammannisce apparente sicurezza, uno di quei nipotini di Almirante che, come tali, mai potranno essere legittimati a gestire una democrazia vera (...) Un individuo, questo Fini, che pare inamidato nella sua immobilità, anacronistico «residuo» di altri «residuati» la cui vacuità politica, sostanziale, è significata dal resoconto degli atti parlamentari che la dicono lunga sulla sua «vis» di uomo politico e di gran pensatore. Prendiamo in esame il decennio ’83-’92. Cosa ne vien fuori? La maggior parte, la quasi totalità anzi, dei suoi interventi ruota attorno ad un punto. L’osservanza dell’art. 77 della nostra Costituzione repubblicana(...) (Craxi elenca le sedute a partire dal 21 settembre 1983, e i temi su cui Fini è intervenuto)(...) Ma il deputato Fini raggiunge l’acme, riesce (se mi è permesso) a godere intensamente, ad avere il suo sacrosanto orgasmo quando, nella seduta del 12-2-’85, gli tocca di rievocare quelle giornate radiose in cui gli Italiani mostrarono il loro vero, profondo amore per il regime (naturalmente quello fascista!) facendo olocausto della loro più personale ed intima memoria. Dice difatti (p. 24097 e sg.): «La destra prima di chiedere i sacrifici... ha preferito dare l’esempio... Quando fu chiesto agli italiani dal capo di governo di allora, Mussolini, di dare il proprio oro alla patria. Tutto ciò farà sorridere, però quell’oro gli italiani lo hanno dato, quel sacrificio lo hanno fatto sia cittadini di umile condizione sia cittadini che erano di ben altro tenore sociale». Le parole del deputato Fini non abbisognano di commento. Egli riesce a «pensare», a salir di tono, solo quando parla di «Mussolini» e degli italiani «di ben altro tenore sociale». E lo fa in un’aula parlamentare di quella Repubblica nata dalla resistenza e dall’antifascismo.
E questi è il medesimo Fini che, con cravatta e in doppiopetto, oggi si presenta agli italiani come faccia del «nuovo» e come candidato a guidare la destra, la nuova-vecchia destra, e magari un futuro governo. Un uomo della seconda Republica che, guarda caso, ha avuto i piedi ben piantati nella prima e il cuore, o la mente, radicati profondamente nel passato (...). Roba da sbellicarsi dalle risate... se non fosse che, data la drammacità dei momenti che stiamo vivendo, il dolore e il pianto avrebbero da sgorgare spontanei, e impetuosi. In tutta la sua vita parlamentare c’è un vuoto assoluto, anzi «il» vuoto assoluto, l’assenza di un’idea capace di contribuire al progresso degli uomini e delle istituzioni e di un’azione politica che tale progresso renda possibile, e visibile. E a costui, che da tempo si sta esercitando a guidare la destra e forse il nostro infelice Paese, gli italiani stanno forse correndo ad affidare il proprio destino e il futuro delle generazioni a venire! Chi avrebbe potuto immaginarlo? (...) Se la prima volta ci hanno tolto perfino le «fedi», stavolta che cosa si apprestano a toglierci? Ed oltre, cosa c’è? (...) Un seme di niente non può che darci un niente (...).
Hammamet, dicembre 1997
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