IL POLIZIOTTO ALIQUÒ

MilanoLe chiama anomalie. Giovanni Aliquò, storico sindacalista delle forze dell’ordine e per dodici anni Presidente dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, si dice «sconcertato dal curriculum di Gioacchino Genchi, il superconsulente di molte Procure, il tecnico che avrebbe assemblato una sorta di banca dati gigantesca.
«Bene – spiega Aliquò – quel che lascia sbigottiti è che Genchi da almeno dieci anni è in distacco sindacale».
Genchi è un sindacalista?
«Sì, sulla carta. Nella realtà credo faccia soprattutto il perito. Tutta la sua carriera è curiosa, ma io trovo che il fatto più stupefacente sia proprio questo: da almeno due lustri si è messo in aspettativa, naturalmente non retribuita, ma non l’aspettativa dei comuni mortali che ha tempi ben definiti; no, lui sfrutta lo scivolo offerto a chi si occupa di tutelare i lavoratori, con alcuni indubbi vantaggi».
Quali?
«Il distacco, così si chiama, è senza limiti di tempo e lui non perde il posto in graduatoria. Insomma, può rientrare quando vuole e in quel caso riprenderà il suo stipendio. Intanto è diventato il superesperto di molti pm e sta tutti i giorni sui giornali. Ma nessuno, al ministero degli Interni, sembra interessato a chiarire la sua posizione».
Ma in passato ha lavorato come sindacalista?
«Che io sappia non ha mai firmato un volantino. Ma, evidentemente, qualche sindacato del frastagliato e troppo numeroso mondo delle sigle presenti fra le forze dell’ordine gli ha dato ospitalità. È una situazione all’italiana, persino comica, ma a mio parere anomala: Genchi è un perito sindacalista. E poi mi chiedo: che cosa sappiamo della sua attività, del suo lavoro, delle sue indagini? È vero o no che ha messo insieme una banca dati con 350mila nomi? Non sarebbe meglio pescare i consulenti nel recinto più sicuro della polizia giudiziaria? In ogni caso, quando ci si affida agli esterni i controlli diventano più difficili. È meno facile capire quel che è successo: Genchi ha incrociato i dati di inchieste diverse? Attendiamo risposte».
Genchi, quando era in polizia, dirigeva l’ufficio, anzi, di più, la zona delle telecomunicazioni di Palermo. Un punto nevralgico dell’apparato investigativo.
«Anche questo è strano. Anomalo. Lui è laureato in legge, non in fisica o informatica. Non ha, almeno sulla carta, particolari competenze nel mondo dell’elettronica. Eppure in breve tempo diventa il responsabile di un servizio delicatissimo, in una città molto importante, in prima linea nella lotta alla criminalità. Come è approdato a quel ruolo così importante?».
Lei come risponde?
«Non lo so. Quella di Genchi è una carriera folgorante. E atipica. Come le inchieste che seminano dubbi in chi le osserva».
Si riferisce alla presunta banca dati?
«Vedremo. E vorrei sapere come il ministero della Giustizia l’ha controllato: qual era l’oggetto delle consulenze? Quanto sono costate? Certo, il perito guadagna molto, molto di più di un poliziotto in servizio. E ancora: Genchi ha dato tutto il materiale alle Procure?».
Il Garante della privacy?
«È assai fiscale con le forze di polizia. Ma, a quanto pare, è debole con i consulenti, gli investigatori privati e altre figure oblique che svolgono compiti non sempre chiari.

E suscitano inquietudini nell’opinione pubblica. Il Garante non si è accorto per anni di quel che stava succedendo: la creazione di archivi fuori dal circuito della legalità. Mi chiedo come queste banche dati vengano utilizzate».

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