Piera Anna Franini
Il pianista italiano di riferimento? Risposta ovvia. È Maurizio Pollini, interprete di rango internazionale, così internazionale da riservare all'Italia poche e oculate apparizioni. Così, i suoi recital finiscono immancabilmente con il fregiarsi dell'etichetta di «straordinario». Straordinario è stato il concerto scaligero messo a punto dalle Serate Musicali, lo scorso 29 maggio, a favore del Fai.
Straordinario il recital il 13 febbraio, sempre alla Scala, organizzato dalla Società dei Concerti. La stessa istituzione che a breve, il 23 giugno, riporta Pollini a Milano, in Conservatorio (ore 21), consegnando alla città - dove il pianista è nato e cresciuto - la palma di un centro italiano tra i più frequentati da Pollini.
Straordinarietà elevata al quadrato se si pensa alla sede dove il concerto avrà luogo. Non è la Scala, bensì quella sala - la Verdi del Conservatorio - dove Pollini non mise piede per ventisei anni. Lì, nel 1972 si era consumata una serata furibonda con il pianista intento a leggere un proclama pro-Vietnam (firmato da Petrassi, Abbado, Quartetto Italiano, Dallapiccola) e la platea che ad appello appena cominciato travolse l'interprete, notoriamente schivo e riservato, con una pioggia di fischi. Seguiva un silenzio lungo un quarto di secolo e poi il concerto di riconciliazione nel settembre 2002.
Per il concerto milanese «in difesa della Costituzione», Pollini ha impaginato un programma che affianca alle Sonate in fa minore e do maggiore dell'op.2 di Beethoven, la Prima Ballata, due Notturni, Polonaise op.44 e Terzo Scherzo di Chopin. Due autori in testa alle predilezioni di Pollini che nel 1993 ha affrontato l'integrale di Beethoven (anche alla Scala) in senso cronologico estendendo l'interesse anche alle Sonate fino a quel momento neglette (appunto le prime).
Maurizio Pollini si è guadagnato giovanissimo la reputazione del pianista dai timbri asciutti, disadorni, incline a prosciugare e stilizzare. Fin dalla medaglia vinta a diciotto anni al «Concorso Chopin» di Varsavia. Aveva eseguito quattro fra gli Studi più terribili di Chopin e, alla finale, il Primo Concerto. Il tipico programma di un «candidato al manicomio o alla vittoria» fu il commento. L'esito confermava la seconda tesi.
In giuria sedeva Arthur Rubinstein che assieme ad Alfred Cortot è poi rimasto il punto di riferimento dello Chopin di Pollini, ammirato per «l'attenzione all'equilibrio formale» e per il gusto moderno che si traduce «in un rubato più riservato rispetto alla tradizione d'Ottocento», ci spiegò Pollini in occasione di una presentazione di cd chopiniani per la Deutsche Grammophon.
Pollini è pianista di larga popolarità, è quasi automatico che i suoi cd campeggino in testa alla hit parade dei cd classici più venduti.
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