Il Polo e la libertà

Facile dirlo, ora. Ma sapeste che fatica, per anni, sostenere che il bipolarismo fosse culturalmente inadatto al nostro Paese. Sembrava eresia, come se il bipolarismo fosse rimasto l’ultimo disperato bastione dopo il quale dichiarare definitivamente fallita la Seconda Repubblica.
La verità è che non eravamo né siamo preparati: e non solo perché storicamente impaludati nei distinguo consociativo-proporzionali, ma perché il barocchismo dei distinguo è sempre stato il vero sale della nostra democrazia. A complicare le cose, poi, ci ha travolto una sorta di bipolarismo planetario in salsa 11 settembre: e allora Occidente contro Islam, bene contro male, o di qua o di là in tutte le cose. Ci si è costretti talvolta in assembramenti brutali e spersonalizzanti, ma è inutile fingere che non ci siano differenze tra Forza Italia, An e i centristi d’ogni colore.
È inutile fingere che laici, laicisti, cattolici, papisti, liberisti, libertari, liberali, leghisti, repubblicani, radicali, socialisti e postfascisti possano avere una posizione sola.

Il bipolarismo, nondimeno, è stato visto come un antidoto al carattere bizantino e compromissorio tipico italiano: in pratica ha scontornato ogni nostra idea con l’accetta. L’eterno derby è finito. Ricomincia il campionato.

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