Polverosa icona libertina con più fan che lettori

Resta niente, di Pier Vittorio Tondelli, eccetto, come prevede la legislazione direttiva del postmoderno, il personaggio. E restano i suoi fan. Questi ultimi, grazie alla straordinaria mitosi cellulare della cultura gay, non mancano. Già, ma i lettori veri e propri? Alla Bompiani, quando gli si chiede il venduto di Tondelli, di cui hanno raccolto le opere in un unico volume nella stessa collana di Saint-Exupéry e Marguerite Yourcenar, nicchiano. Come accade quando si va a scavare sotto il marketing alla ricerca della sostanza. E non è novità che oggi si faccia marketing sulla nostalgia.
Con Tondelli, infatti, siamo dalle parti del vintage anni Ottanta, quando il Nostro, un po’ come Madonna, era sincero e provocatore, forse perché esisteva un residuo di moralità da abbattere. E fu così che, esattamente nel 1980 e like a virgin, Tondelli uscì con Altri libertini, il più autentico dei suoi titoli, sequestrato per oscenità dal procuratore generale dell’Aquila e ripubblicato da Feltrinelli cinque anni orsono in una speciale edizione, appunto, vintage. Ma ancora: quanti se ne nutrono? Pare che venda qualcosa di più Camere separate, romanzo successivo di un decennio e impregnato di quella casalinghitudine rosé che attualmente è il desiderio più pressante della comunità omosessuale, Ivan Cotroneo docet. Lo stesso percorso, insomma, che ci ha portato da Michel Foucault a Umberto Galimberti. E che, per via della prosa lirica e stucchevole, ci ha poi dato un Erri De Luca.
Detto questo, molto della biografia di Tondelli è considerevole: ha aperto la strada alla letteratura giovanile così come la conosciamo, espressione di una gioventù disgregata, che si consumava (e si consuma) nel consumo. Una subcultura. È pure stato talent scout e operatore culturale: a lui dobbiamo la scoperta di Silvia Ballestra, Giuseppe Culicchia, Andrea Canobbio e la collana «’ggiovane» Mouse to mouse per Mondadori, chiusa anzitempo (molto «anni Ottanta» fin dai titoli: Fotomodella di Elisabetta Valentini e Hotel Oasis di Gianni De Martino). Sempre a lui si deve il concetto editorial-commerciale di «under 25», poi declinato in altre modalità alfanumeriche, nonché il ricordo della casa editrice Transeuropa con cui collaborò e il carattere operativo degli editor di oggi, maestri molto fraterni e poco paterni. Come lui. I suoi titoli, però, rimangono a impolverarsi sugli scaffali dei drop out diventati avvocato, comprensibilmente vicino a quelli di David Leavitt. Nel migliore dei casi, vicino a quelli di Pasolini, lontano da Tondelli per il disperato distacco con cui urtava la propria epoca. Tondelli, al contrario, preferiva immergersi nel proprio tempo. Fino a sparirvi. Non è un caso che negli stessi suoi anni uscivano Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino e Il nome della Rosa di Eco: al di la delle vendite, come giustamente è stato notato, fu il momento preciso in cui la letteratura italiana arrivava «al capolinea della sterilità». A questo «analfabetismo letterario di ritorno» Tondelli diede l’imprimatur.
Oggigiorno abbiamo superato, volenti o meno, l’orizzonte della sua narrativa. Le fotografie di Tondelli che vediamo nel volume, comunque prezioso, Riccione e la Riviera vent’anni dopo, pubblicato da Guaraldi, sono commoventi. In alcuni casi struggenti.

Non si dava delle arie, era persona piacevole e generosa, di una timidezza patologica, pur essendo titolare di best-seller, e vestiva in un modo impossibile e simpatico. Purtroppo, tra la via Emilia e il West, tra notti in spiaggia e dinner party, la sua letteratura, per dirla con Baglioni, è un sogno «sopra un treno che non è partito mai».

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