Via Poma, nel dna la soluzione dell’omicidio

A fine agosto la nuova relazione del Ris su alcune tracce di sangue trovate sul reggiseno e sul corpetto della vittima

È attesa per la fine di agosto una nuova relazione dei carabinieri del Ris sul caso di via Poma. Gli accertamenti, disposti dal procuratore aggiunto Italo Ormanni e dal pm Roberto Cavallone, sono stati effettuati su alcune tracce di sangue ritrovate nel lavatoio condominiale e nell’appartamento dove il 7 agosto del 1990 venne uccisa Simonetta Cesaroni. A quasi 17 anni dal delitto, infatti, ancora non è stato individuato il responsabile. Le analisi biologiche riguardano anche il reggiseno e il corpetto trovati indosso a Simonetta, nonché il vetro dell’ascensore, vecchie provette, un fermacapelli, il mobilio dell’ufficio, una borsetta e altri oggetti. Gli esperti del Ris, nella primavera del 2005 avevano definito un dna di un soggetto di sesso maschile che è sottoposto ora a confronto con quello degli indagati negli anni passati e già in possesso degli investigatori, tra cui anche quello di Raniero Busco, un ex fidanzato della Cesaroni. Le verifiche furono avviate alcuni anni fa nell’ambito di un’inchiesta che non si è mai conclusa e che spera di trovare risposte anche alla luce delle nuove e sofisticate apparecchiature a disposizione per l’analisi del dna. Simonetta Cesaroni, 21 anni, fu trovata morta, uccisa con 29 coltellate, in via Poma 2 nell’ufficio dell’Associazione degli ostelli della gioventù, dove lavorava, la sera del 7 agosto. Figlia di un dipendente della Cotral, lavorava per l’ultimo giorno in quell’ufficio. Simonetta era infatti dipendente di un’altra società, ma il suo datore di lavoro Salvatore Volponi, l’aveva «prestata» per un lavoro al computer all’Associazione italiana alberghi della gioventù di via Poma. Secondo alcuni il segreto del delitto sarebbe stato custodito nel pc su cui lavorava la giovane, ma la perizia informatica si rivelò infruttuosa.

Furono due i principali indagati coinvolti nell’omicidio: si trattava di Federico Valle, nipote dell’ingegnere che progettò il palazzo di via Poma e che abitava nello stesso stabile, e Pietrino Vanacore, portiere dello stesso palazzo. Il primo accusato di omicidio e il secondo di favoreggiamento, furono poi prosciolti da ogni accusa.

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