L’agenda di Sergio Marchionne segna per oggi «Auburn Hills, Stati Uniti». Salvo ripensamenti dell’ultima ora, l’amministratore delegato della Fiat dovrebbe così affrontare l’ennesimo volo transoceanico e conoscere, dal suo ufficio nel Chrysler building, affluenza ed esito del referendum in programma domani a Pomigliano d’Arco. Una reazione immediata del numero uno del Lingotto arriverebbe solo nel caso di una schiacciante vittoria dei «no» all’accordo sulla riorganizzazione del lavoro nella fabbrica campana. Ed è facile intuire quale sarebbe: chiusura dello stabilimento e i 5.200 dipendenti a spasso. Stessa sorte toccherebbe ad altre 10mila persone tra indotto e fornitori. È lo scenario che nessuno vorrebbe vedersi materializzare, nemmeno la Fiom che, mercoledì, non saprebbe che cosa rispondere ai suoi iscritti e a tutti quello che chiederebbero al sindacato rosso dei metalmeccanici, con giustificata preoccupazione: «E mo’ che facimme?».
Certo è che Marchionne sta già guardando avanti, alla fine del 2011, quando in coincidenza con la chiusura dello stabilimento siciliano di Termini Imerese, partirà - se tutto andrà bene - la produzione della nuova Fiat Panda a Pomigliano d’Arco. I veri effetti dell’aupicabile successo del fronte del «si» al referendum di domani, infatti, si conosceranno solo nel 2012, quando la produzione della Panda andrà gradualmente a regime. Diamo per scontato che i «sì», una volta comunicati i risultati delle consultazioni, oltrepassino la quota dell’80%, quella che la Fiat avrebbe posto come limite per tentare di far partire il piano di rilancio e l’investimento di 700 milioni in Campania. Ma 80% oppure 85% non sarà mai come ottenere il 100% delle adesioni (solo l’improbabile contrordine di scuderia della Fiom in questa direzione sarebbe più efficace dell’intervento di San Gennaro): significa che per Marchionne rimarrebbe sempre il problema della praticabilità effettiva del programma e di dar seguito all’accordo sottoscritto da Fim, Uilm, Ugl e Fismic. Insomma, il 4 a 1 sonante nei confronti della Fiom (l’accordo) e un ampio successo dei «sì» domani alle urne potrebbero non bastare. Quel 20 o 15 o anche 10% di falchi continuerebbero, difatti, a mettere i bastoni tra le ruote. Come? Organizzando scioperi, seminando zizzania tra gli operai, tra le tute blu e la direzione della fabbrica o boicottando la produzione. Creando, in pratica, più caos possibile. A subire le conseguenze, sarebbe così la qualità della nuova Panda, modello da sempre core per il gruppo Fiat e sul quale Marchionne non può e non vuole perdere la faccia. Ecco perché, in caso di affermazione dei «sì», passerà ancora del tempo per capire veramente se il Lingotto, e i tanti lavoratori (con le rispettive famiglie) che l’altra sera hanno pacificamente manifestato per le strade della cittadina partenopea, potranno dire di aver vinto la scommessa, o se gli sforzi per ridare slancio all’economia del territorio rischieranno di essere vanificati. Marchionne, che guarda sempre avanti, le sfide le vuole sempre vincere e sta già preparando le contromisure, con l’ausilio degli uffici legali delle Unioni industriali di Napoli e di Torino.
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