da Milano
Ce la faranno a salvare Alitalia? chiediamo a Marco Ponti, professore di economia dei Trasporti al Politecnico di Milano.
«Credo di sì, ma spero di no»
Qualcosa contro Alitalia?
«No, per carità. E non ho, sia chiaro, la sfera di cristallo».
E allora? Cominciamo dal «credo di sì»
«Sarà il solito triangolo delle Bermude, come lo chiamo io. E cioè ci saranno compensazioni su altri tavoli per chi interverrà e garanzie di protezionismo per una nuova compagnia avvolta nel tricolore. E non si tratta di colore di governo, perché lo stava facendo anche il precedente».
Cioè?
«Il piano per gli aeroporti dellallora ministro Bianchi non era altro che un tentativo di far fuori le compagnie low cost».
Ma dellazione di Intesa Sanpaolo e della possibile cordata italiana che cosa dice?
«Non ho mai creduto nei capitalisti o nei banchieri di buon cuore. Come non ho mai creduto nelle tigri vegetariane: se si dicono tali è solo perché vogliono mangiarmi più facilmente».
Fuor di metafora?
«Pagheremo tutto noi cittadini. Anche la questione del prestito ponte lo dice: 300 milioni di aiuti di Stato che, anche se fossero un vero prestito, vanno ad aumentare lindebitamento della compagnia, e quindi deprezzano il suo valore. Il differenziale sul prezzo di vendita per la quota di proprietà dello Stato è a nostro carico: un bene pubblico sarà venduto a meno».
Torniamo indietro, allaffermazione «spero di no». Si spieghi meglio
«Appunto, perché un salvataggio sarebbe ai nostri danni».
E che soluzione vedrebbe, allora?
«Solo il fallimento. Mi faccia aprire il mio libro dei sogni».
Lo apra
«Se Alitalia fallisse, latteggiamento politico verso il settore si ribalterebbe di 180 gradi: da iperprotezionistico a iperliberistico. Perché lo Stato non avrebbe più una propria compagnia da difendere.
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