Da Ponzano al mercato globale la sfida senza confini dei Benetton

Il successo della famiglia Benetton risiede nella sua straordinaria capacità d’intuizione e nelle sue visioni d’anticipo. La prima, determinante, fu quella di colorare i maglioncini dopo averli fabbricati al grezzo, per dare alle vetrine dei negozi sempre moda freschissima, senza invecchiamenti in magazzino. Ma non basta fabbricare, bisogna saper vendere: e qui venne un’altra intuizione, quella di creare una rete di franchising che permise di globalizzare rapidamente il marchio scaricando a valle, sui singoli dettaglianti, i costi commerciali. La quantità di profitti che ne derivò fu il presupposto per un’altra intuizione: quella di mantenere in famiglia la «musina» (che in Veneto, la lingua dei Benetton, vuol dire salvadanaio), senza alcuna dispersione. I quattro fratelli fondarono Edizione holding, che ben presto divenne lo specchio della loro forza. Edizione controlla Benetton Group (la società di abbigliamento, quotata in Borsa), ma a sua volta non è quotata; è stata ed è il veicolo della diversificazione. La quale è stata un’altra intuizione decisiva. Quando il tessile, comparto che ha guidato la rivoluzione industriale, ha cominciato a dare segni di maturità e la concorrenza a competere con le stesse armi, la famiglia si è guardata attorno. Dopo qualche (fortunata) operazione nel credito, la svolta è avvenuta in un momento storico fortunato, quello delle privatizzazioni. Edizione ha comprato tre asset importanti: la catena di supermercati Gs, poi ceduta a Carrefour, la rete di Autogrill e quella di Autostrade. Il primitivo business industriale si è smaterializzato - se così si può dire - in quello dei servizi: altra intuizione in stretta sincronia con i tempi.
Poi i Benetton hanno investito in altri due settori di assoluta attualità: le tlc (Telecom Italia) e le costruzioni (Impregilo). Quest’ultimo a prima vista può sembrare un settore maturo; invece stiamo vivendo una stagione che è tutto un rifiorire di infrastrutture, che non sono né di destra né di sinistra: perché le esigono i tempi.
Nei servizi poi, i Benetton hanno intuito per tempo che il business sta nella «catena» della mobilità (di cui le infrastrutture sono il presupposto fisico): la gente che viaggia «tocca» autostrade, aeroporti, stazioni, ha fretta, compra, mangia, si disseta, spende senza troppo pensarci perché spendere in viaggio è un gesto dettato dall’emozione più che dalla ragione. Questa logica ha spinto la famiglia di Ponzano anche in Grandi Stazioni, la società che sta rinnovando e gestisce i grandi scali ferroviari italiani. Un’altra intuizione è quella delle concessioni. Autostrade, Autogrill, Grandi Stazioni, i business aeroportuali in cui queste sono presenti con vari rami di servizi, sono business «leggeri», non si è proprietari ma si gestisce sul lungo periodo, il patrimonio non è il mattone ma il «saper fare», il denaro non resta immobile ma gira più in fretta. La traduzione nella pratica dell’economia di quell’«accesso» teorizzato da Jeremy Rifkin.
L’ultima intuizione, di cui abbiamo prova evidente in queste ore, è l’internazionalizzazione.

Il mercato globale, già sperimentato con i maglioncini di «United colors» e applicato con successo in Autogrill, è oggi la dimensione per competere da leader nei servizi; espandersi, anche a costo di vedersi erodere posizioni di supremazia, significa allargare le spalle, acquisire nuovo potere finanziario e aprirsi alle grandi opportunità offerte dalla catena delle sinergie.

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