Il pop da orchestra: convince Cremonini

Paolo Giordano

da Roma

Giusto in quel momento lì, forse, quando all’Auditorium Conciliazione si sono spente le luci ed è finita l’attesa, Cesare Cremonini si è chiesto ma perché, perché addirittura con un’orchestra. Va bene che l’idea gli è venuta una sera a cena col padre, «anche se un piatto di tortelloni non è certo la soluzione a tutti i problemi», e che lui con la London Telefilmonic Orchestra ha già registrato il ciddì Maggese. Però per questa tournée teatrale (il 18 a Milano) «abbiamo provato solo tre giorni» e, quando si riaccendono i riflettori qui nella platea tutta esaurita, gli archi dei trenta maestri inglesi sono nascosti sul fondo delle orecchie, quasi impercettibili, forse sbigottiti perché insomma deve avere tanto fegato questo venticinquenne che è il cocco delle ragazzine ma prova a cambiar pelle, a stravolgere il repertorio, a sfogliare l’enciclopedia della musica e scegliere una pagina qui e un’altra più avanti. E così Padremadre ha arie morbide e sinfoniche, La fiera dei sogni è brasileira con molta saudade, in Latin Lover la sua band se ne va (Ballo Balestri al basso, naturalmente, e tre chitarristi, due tastieristi e un egregio batterista) e lui rimane da solo con l’orchestra, con il rotondo direttore Levine Andrade a dargli di spalle col fiato sospeso perché Cremonini fai fatica a fermarlo, parla e parla, accidenti che voglia ha di improvvisare. Quando è il momento di 50 special, che ha fatto dei Lunapop un simbolo degli anni Novanta, il suono ecco che starebbe bene su di una spiaggia di Malibu, è quasi surf, ricorda gli anni ’60 dei Beach Boys così lontani. D’altronde, nelle sue incertezze, nella foga adolescente e chiacchierona, Cremonini ha saltato il fosso, si è tolto la casacca pop e può far quello che vuole, servire partiture sinfoniche a teenager che gli tirano fiori sul palco (e regali), raccontarsi come si fa in famiglia e non al bar, trasformare il palco in un lettino senza vergognarsi di esserci sdraiato sopra, nudo e impaurito. Quando comincia a cantare «Ero lì, in un’orgia», persino la sua espressione cambia, ecco è un brano di Giorgio Gaber (L’orgia, del 1970) e allora si capisce che non era un caso quest’estate a Viareggio, quando è salito in scena, lui a venticinque anni, e ha fatto teatro canzone al Festival Gaber prima che lo fermassero gli applausi. Cremonini si racconta e ha il dono di farlo, sarà trasversale se supererà le diffidenze, libero infine (e magari pretenzioso).

E così, quando si riaccendono le luci capita di vedere che nelle prime file ci sono le ragazzine e dietro quelli che applaudono (Fiorella Mannoia, Simone Cristicchi, Valeria Fabrizi e Rocco Papaleo) chiedendosi ma come fa, come fa addirittura con un’orchestra.

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