Il popolo nerazzurro abbraccia i campioni e la città si blocca

È da poco passata la mezzanotte quando, dopo infiniti rinvii, tira e molla e cambi di destinazione («No, il Vigorelli no, neppure l’Arena Civica, del Meazza non se ne parla proprio»), i giocatori si concedono alla marea nerazzurra, in visibilio. Eccoli affacciarsi finalmente dalle finestre dell’assessorato allo Sport che danno sul Duomo. E che la festa inizi, anzi continui.
La festa infatti era iniziata sei ore prima, quando le prime bandiere hanno iniziato a sventolare. Alcuni tifosi, sfidando la cabala, per essere i primi a festeggiare si erano dati appuntamento sotto la Madonnina alle 15. Radioline all’orecchio hanno seguito il succedersi dei gol, il vantaggio dell’Inter, l’1-2 rifilato alla Roma dall’Atalanta, Perrotta che accorcia le distanze. Poi il triplice fischio e la gioia può finalmente esplodere liberatoria. Pochi minuti e già la città ribolle di bandiere con caroselli di macchine a clacson spiegati. Le forze dell’ordine avevano schierato una cinquantina di uomini, diventati subito 100. Per prima cosa sono andati a presidiare il monumento a Vittorio Emanuele e impedire gli exploit di improvvisati alpinisti. In quella baraonda qualcuno poteva farsi male.
La marea dei tifosi sale più rapidamente di uno tsunami: 5mila, 10, 20, nel giro di un’ora sono almeno 30mila. Scatenati, tra balli, canti e cori, chi non saltava era a turno juventino o milanista, mentre scoppiano mortaretti e fuochi artificiali e l’aria si fa sulfurea per i fumogeni. Rumore assordante di trombette, andate a ruba dalle decine di bancarelle comparse quasi dal nulla insieme ai chioschi di bibite e panini. La festa neroazzurra per alcuni è anche un «business».
Impossibile descrivere facce e scenette tra neonati avvolti nelle bandiere, cani «ultrà» a cui i padroni erano riusciti a infilare la maglietta neroazzurra, signori di mezza età, e oltre, impegnati in passi di danza come ragazzini. Be’ loro più di altri avevano il diritto di festeggiare: l’ultima volta fu nell’89. Capirai se ne hanno masticato di bocconi amari, mentre i «cugini» rossoneri macinavano scudetti e coppe e ogni volta cantavano divertiti «Non vincete mai». Adesso tocca a loro occupare la piazza e il centro si veste di neroazzurro, un’unica bandiera da piazza Cairoli a San Babila. Passando per la loggia dei Mercanti dove era in corso il mercatino dei fiori. Travolti dalla marea neroazzurra i commercianti hanno ripiegato le bancarelle e se ne sono tornati a casa.
Intanto la società sta cercando di organizzare l’abbraccio con i supporter e inizia la trattativa con il Comune, che del resto ha fretta di trovare una soluzione per sgomberare la piazza. L’Arena Civica, sarebbe comodissima, lì a due passi, ma è una struttura fragile. «Il Vigorelli?». Meglio di no per problemi di sicurezza. «E san Siro?». Troppo complicato. Alla fine saltano fuori le finestre dell’assessorato allo Sport. La squadra, atterrata a Malpensa, passa prima per l’hotel Melià in via Masaccio. Qui il solito tam tam ha già fatto accorrere un centinaio di tifosi.

Primi festeggiamenti collettivi, con i giocatori sul tetto del pullman a zompettare al grido «chi non salta rossonero è». Poi si riparte su un pullman scoperto, destinazione centro, per l’abbraccio con i tifosi in delirio.

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