«Porterò anche a Milano i miei grattacieli girevoli»

G iorno dopo giorno, scopriamo la stabilità della mutevolezza. L'incertezza ci fa sentire il cambiamento, percepiamo le arterie che ci pulsano sotto pelle, le rughe che ci crescono sul viso; comprendiamo che il punto di equilibrio è sempre da riaggiustare, che l'esperienza si erode come il linguaggio e le mode, e ogni attimo che passa illumina nuovi scenari, variazioni continue. Proprio come affacciarsi da una torre rotante di David Fisher: un croissant sul golfo Persico, un tè sul deserto; alba sul Central Park, tramonto sull'Hudson River; ti addormenti su Copacabana, ti svegli davanti al Corcovado. Oggi la Madonnina, domani l'abbraccio delle Alpi. Il mondo ha conosciuto l'architetto italiano David Fisher nel '79, quando ha progettato a Gerusalemme l'area davanti al Muro del pianto, primo esempio al mondo di piazza dinamica. «Non potevo fissare la storia» ha detto. E oggi torna con un'idea travolgente: «dynamic architecture», grattacieli girevoli a quattro dimensioni (la quarta è il tempo), che cambiano forma di continuo perché ogni piano gira su se stesso in una danza imprevedibile. Alcuni progetti ricordano vele fluttuanti nell'azzurro, altri fiamme levate al cielo, altri ancora parcheggi verticali di astronavi. L'idea è stata inserita dal Time tra le invenzioni più importanti del 2008. Tutti li vogliono: da Dubai (dove i lavori della prima torre inizieranno in estate: 80 piani, 700 mln di dollari) a Mosca, da Londra a Rio, ma lui guarda anche alla sua Italia, e vuole fare di Milano una città pioniera di questo nuovo trend del costruire. L'architetto dell'anno 2008 tiene una cazzuola in miniatura nel taschino e sorride: «Dai tempi dei faraoni si costruisce con questa. Non è ora di mandarla in pensione?» Forse siamo davanti all'architettura del futuro. Dove l'immobile diventa mobile.
Perché Milano?
«In Italia mi sembra la città ideale da cui partire. Da Leonardo in avanti è stata una capitale della tecnologia. E credo che oggi debba ricercare una sua identità nella riscoperta della vocazione tecnologica. Non è un caso se la nostra società ha sede proprio qui».
Ci sono quindi concrete possibilità di vedere una torre rotante a Milano!
«Ho parlato col sindaco Moratti. Non c'è ancora niente di ufficiale, ma spero che una mia torre possa diventare il simbolo della Milano dell'Expo. Milano ha questa grande occasione, perderla sarebbe un peccato. Città come Lisbona sono letteralmente rinate dopo l'Expo».
C'è tecnologia e filosofia nelle sue torri.
«Le torri che ruotano rappresentano il cambiamento continuo, il dinamismo della nostra vita. Per questo ho modificato l'etichetta "dynamic architecture" in "dynamic life"».
«Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume», diceva già Eraclito. E ora non si può passeggiare due volte nella stessa città...
«Pensi a uno skyline che si modifica senza sosta. La mia è un'architettura che segue il ritmo della vita, è il tempo a forgiarla. E il tempo ha a che fare con la relatività».
Come è nato il progetto delle torri rotanti?
«Qualche anno fa, a Miami, ho scoperto la differenza di prezzo fra un appartamento vista oceano e uno senza. Praticamente il doppio. Lì ho avuto l'illuminazione: perché non farli ruotare?»
Ma l'idea ha origini più lontane...
«Da bambino mia madre mi portava tutte le sere a vedere il sole che si inabissava nel Mediterraneo. Rimanevo estasiato al pensiero che un giorno finiva e un altro stava per nascere. Lì ho compreso il cambiamento, ho percepito lo scorrere del tempo».
Non le hanno rimproverato di osare un po' troppo?
«Alcuni scettici ci sono. Ma a pensarci queste torri sono la soluzione più razionale e sostenibile, perché è quella che più si avvicina alla natura. C'è una colonna portante centrale che contiene tutti gli elementi strutturali. Su questa gli appartamenti, che sono prefabbricati, sono montati a moduli e portati in quota. È come un grande albero con un fusto e una chioma che ruota su se stessa e si autoalimenta energeticamente grazie a impianti eolici e fotovoltaici. Senza contare il risparmio economico legato alla produzione industriale: si rivoluzionerà l'idea stessa di costruzione».
Come funzionano?
«Ogni piano è indipendente e ruota secondo quattro parametri: direzione, velocità, accelerazione, tempistica. Ci può essere un programma centrale o si può lasciare a ogni livello completa autonomia. Si ottengono così infinite varianti di forma.

Affascinante, no?»
Le difficoltà ingegneristiche non mancheranno...
«Negli anni ho capito che l'architettura, prima ancora di essere forma, è fattibilità, funzionalità e ingegneria. Il mio progetto aiuterà a capire che tutto è possibile».

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