«Scriva quello che vuole, basta che non usi le espressioni jet set e gioventù dorata». Con questo ammonimento Carlo Mazzoni chiude l'intervista e la porta del suo appartamento, in uno dei tre palazzi di via Bagutta, proprietà della sua famiglia «da sempre». Ventisette anni, milanese che porta nel pedigree familiare cognomi come Rossari, Orsi, e i conti Durini di Monza («i personaggi che amo, che vivevano in grandi palazzi scuri e andavano elegantissimi alla Scala», racconta), odontoiatra part time per gli extracomunitari della clinica di via Moscova, ha messo la Milano che conta nel suo romanzo I postromantici. Una storia d'amore, potere e bellezza, in uscita oggi per Salani (270 pagine, in vendita al prezzo di 14 euro) la storia di quattro ragazzi intorno ai ventisette anni, uniti dall'amicizia e dalla presunzione di essere i migliori in una Milano ricca e annoiata, che ha gettato un ponte verso New York, si appassiona alle trame di alta finanza, rare volte s'innamora e decide sia per sempre.
Qual è la Milano che conta?
«Quella che se esce la sera è per andare a una festa al Metropolitan di New York. I rotocalchi ci andrebbero a nozze se sapessero dove fotografarli. La poca Milano che conta non è fatta di quattro pischelli figli di. Parla più inglese che italiano. Sa come concedersi, i luoghi da evitare».
Quali sono?
«Quel mondo trash che gira intorno ai calciatori e alle veline. Le feste di Dolce e Gabbana e di Briatore».
Cos'hanno queste feste che non va?
«Fanno feste private e all'interno c'è un privé. Il massimo del trash. Briatore fa feste in barca, mette il privé e poi sta sulla porta perché i due Casiraghi non riescono a entrare. E il resto dello yacht di 45 metri è vuoto».
Dove si va invece?
«A Milano non si esce. Posti come l'Hollywood non interessano. Magari si prende un volo per andare alla Gagosian a Londra, invece».
La Milano bene separata da Vallettopoli: nemmeno la coca le unisce?
«La coca è un fenomeno diffuso. Da sempre. Farci del moralismo mi sembra inconcepibile. È un vizio e come tutti i vizi, come l'alcol, le sigarette, puoi controllarlo, se hai cervello. La vera piaga non è la cocaina, è l'ignoranza».
La Milano bene è ignorante?
«Lignoranza è diffusa a tutti i livelli. Non solo il figlio del portinaio, ma anche la maggior parte della gente che frequento, non legge nemmeno un libro l'anno».
Antidoti culturali a Milano non ce ne sono?
«La classe dirigente culturale oggi è troppo arida. Prenda Roberto Calasso: ha pubblicato i libri più belli dell'ultimo mezzo secolo. Ma è una persona che si vede? Che cosa fa per Milano? Io per poter parlare con lui impazzirei. A Raboni scrissi una lettera quando avevo diciotto anni. Mi ha risposto due giorni dopo, all'istante, di sua mano. Una pasta diversa».
Qualche altro nome, nel bene e nel male?
«Elisabetta Sgarbi, che ammiro. Poi però ha delle cadute e pubblica libri tropo facili. Franca Sozzani. Se qualcosa succede nella moda milanese è dovuto al Vogue di questa signora glaciale dai capelli biondi. Matteo Arpe, che si è saputo imporre al suo presidente con un esempio bellissimo per un ragazzo della mia età».
Sente la mancanza di un salotto milanese?
«Mi manca la Milano di Vergani, di Tadini, del premio Bagutta al suo culmine. Poter fare qualcosa nei luoghi belli della città. All'Accademia di Brera, per esempio».
Ci ha provato?
«Con Martina Mondadori e Ottavia Landi un anno fa abbiamo creato una società, Memoria, con finalità culturali. A settembre parte la nostra rassegna "Eccellenti letture". Reading con scrittori e giovani attori. Come location, zone sconosciute o degradate. Inaugureremo al Barrios alla Barona, poi una rocca oltre Niguarda, Cascina Anna».
Si dice già che «I postromantici» diventerà una fiction. Lei ha esperienza anche su questo.
«Per sei mesi ho lavorato al literary office della Paramount a New York. Leggevo script, libri, li registravo. Trovo che le serie tv come Desperate Housewives siano letteratura contemporanea. Il mio romanzo è tagliato come una fiction. Le battute sono precise, mai banali, mai ripetute».
E per presentarlo ha grandi progetti.
«Mi hanno concesso la Scala, forse per il 9 luglio, giorno del mio compleanno. Perfetto perché sarebbe tra le sfilate di Parigi e Roma. Ma non vorrei andare sopra le righe. Per cominciare forse è meglio una location più equilibrata».
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