Potevo salvare il carcerato massacrato

Stefano Cucchi, carcerato. Torturato, morto a 31 anni. Stefano Cucchi. Questo nome ce l'ho stampato nella mente da un po’, ma soprattutto ho in mente la faccia di sua mamma che lo ha perso e non ha potuto stargli vicino nel momento estremo. Neanche un prete ha avuto. Ora il volto di lei è duro. Piange il papà, piange la sorella di Stefano, ma lei è come rigida, forse non si rende ancora conto. Di tutto questo ho la necessità di scrivere. Non c’entrano però le storie pietose di madri che mostrano le foto di figli morti. C’entra un mio privato rimorso, ma anche il dovere che abbiamo tutti di aiutare lo Stato a combattere il crimine, a punire i colpevoli dovunque si annidino. Ma anche a impedire in futuro che ci sia qualcosa che oso chiamare pestaggio, pena di morte preterintenzionale, colposa, volontaria, non so. O se l’evidenza di quanto ho veduto e di cui è stata resa testimonianza è ingannevole, allora si dissipi il sospetto. Si mostri come non ci sia stato il tentativo di nascondere, occultare. Ho visto le foto di questo Stefano Cucchi, morto, uno scheletro con la pelle gonfia di botte. Occhio fuori dalle orbite, segni di mascella spezzata. E ho deciso di fornire anche la mia di testimonianza.
La storia è questa.
Il 16 ottobre, venerdì, Stefano Cucchi, peso 45 chilogrammi, epilettico, arriva a casa sua all’una e mezzo di notte, scortato dai carabinieri. Lo hanno trovato con ventotto grammi di hashish, e qualche grammo di cocaina, più farmaci antiepilettici, scambiati per ecstasy. Arrestato. Perquisizione. Non si trova nulla. I genitori lo vedono. È lui, magro, magrissimo, ma in salute. Viene annunciato per l’indomani il processo per direttissima. I genitori lo vedono con il volto tumefatto. Custodia cautelare in carcere in attesa della prossima udienza il 13 novembre. Da quel momento sparisce alla vista dei suoi cari. Si apprende che viene visitato dai medici di Palazzo di Giustizia, gli riscontrano ecchimosi alle palpebre, Cucchi dichiara di aver subito lesioni all’osso sacro, i medici non vanno a fondo. I carabinieri lo trasferiscono a Regina Coeli. Qui all’ufficio matricola si spaventano, tanto è conciato, lo mandano subito al Fatebenefratelli per esami. Lo riportano a Regina Coeli, lì capiscono che è rotto, scassato, di nuovo al Fatebenefratelli, poi di lì al reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini, sempre a Roma. Siamo solo a sabato, ore 14, e Stefano è in quella cameretta al Sandro Pertini.
I genitori cercano di visitarlo, burocrazie varie, impediscono persino possano parlare con i medici. Non dico vederlo, tenergli la mano, ma sapere come sta. Una volta li tengono nel vestibolo. Quando tornano almeno per sapere, li lasciano in piedi davanti al citofono. Ovvio: è un carcere. Ma siamo anche uomini, persino da detenuti.
Li chiamano giovedì sera. I medici del reparto carcerario del Pertini dicono: «morte naturale». L’agenzia di pompe funebri fotografa quel cadavere ricucito dopo l'autopsia, mai visto nulla di simile, sembra che sia stato calpestato da una mandria di bufali. Luigi Manconi di «A buon diritto» le ha diffuse con discrezione, con il vincolo di non pubblicarle. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha risposto con immediatezza all’interrogazione parlamentare, garantendo un’indagine accurata e penetrante.
Perché il rimorso? Perché che cosa sia il reparto carcerario Pertini lo sapevo bene, l’ho visitato due volte, inorridendo. Ho preferito non fare scandali pubblici, evitare pubblicità, scrivendo al direttore degli istituti di pena, Franco Onta, un magistrato valoroso, e per conoscenza anche al ministro.
Noi deputati abbiamo questo privilegio: possiamo entrare gratis oltre che negli stadi anche nelle prigioni, senza bisogno di prenotazione.
Ecco qualche stralcio della mia lettera «in alto».
«Mercoledì 2 settembre mi sono recato nella palazzina (mi scusi per l’imprecisione dei termini) sita nel complesso dell’Ospedale Pertini di Roma e dedicata ai detenuti. Ho incontrato i vari detenuti e il Primario Professor Fierro. Nei quattro anni da che questa struttura è stata aperta, costituendo credo un unicum in Europa, mi è stato detto che io sono il secondo deputato che ci accede in visita ispettiva, ed il primo che abbia girato le varie stanze/celle.
L’igiene, quasi il lindore, di questa casa di pena testimonia una grande cura e l’umanità degli agenti, dei medici e del personale sanitario preposto. Ma questa struttura è certamente peggiore del peggior carcere. Tutto è stato disegnato e regolamentato non in vista della cura dei pazienti, ma esclusivamente per la sicurezza. Il risultato paradossale è che in queste celle sono ristretti detenuti per i quali i medici hanno stabilito l’incompatibilità con la situazione carceraria per finire in una galera al quadrato, senza neanche quel minimo di respiro e di movimento che persino la prigione più dura consente.
Ho in mente in particolare il caso di X.Y., che in quell’ambiente ha visto decadere ulteriormente le sue condizioni psicofisiche, fino al concreto rischio di accadimenti invalidanti. Tutto questo le comunico, e per conoscenza rendo noto all’autorità politica, perché si ponga uno sguardo su queste situazioni che aggiungono pene in contrasto alla Costituzione, tanto più contro chi è in questo momento presunto innocente».
Mi chiedo: se avessi scritto un articolo, alzato la voce in Parlamento magari Cucchi sarebbe stato curato al meglio, lo avrebbero potuto vedere i parenti. Invece niente. Ha chiesto una bibbia, il prete non gliel’hanno dato. Ma un po’ di giustizia se la merita. Anche se era stato un drogato e alla fine pesava 37 chilogrammi.
Lo so. Non è bello guardare dentro le carceri.

Fare l’esame di come sono trattati i detenuti. Specie se sei di centro-destra rischi di essere guardato come l’amico del giaguaro, l’utile idiota eccetera. Stefano Cucchi però mi riguarda, come riguarda chiunque ami le persone e desideri uno Stato forte e giusto.

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