Poulidor, perdente e felice «Io, il più amato di Francia»

Compie 70 anni un mito del Tour: 8 volte sul podio, non fu maglia gialla nemmeno per un giorno

Pier Augusto Stagi

Dalla parte degli indiani e di Paperino, di chi sta al di là della barricata, di chi deve sempre dimostrare qualcosa di più degli altri, perché a loro nulla è concesso a priori. Dalla parte di chi è battuto in partenza, ma non è detto che poi non vinca. Dalla parte dei Poulidor, di quegli «eterni secondi» che non si danno mai per vinti, e che alla fine vengono preferiti agli Anquetil: più vincenti, più eleganti, più dotati da madre natura, ma dai tifosi sicuramente meno amati. «Dal ciclismo ho avuto tantissimo e avrei potuto vincere anche di più, ma ho avuto l'amore dei tifosi: il bene più prezioso». Raymond Poulidor è il simbolo di un ciclismo che oggi forse non esiste più, ma certamente è l'archetipo del corridore che c'è ancora: quello che combatte fino all'ultimo e non si dà mai per vinto. È un signore distinto di settant'anni. Li compie oggi, essendo nato il 15 aprile del 1936. Passato alla storia per una serie infinita di piazzamenti, soprattutto nella Grande Boucle, Poulidor si è trovato a pedalare con Anquetil prima e Merckx poi. In diciassette anni di carriera (dal '60 al '77), ha vinto 190 competizioni, «se un ragazzo di buon livello, oggi ne vincesse solo la metà, sarebbe considerato un fuoriclasse», dice lui con quel suo sorriso che ha conquistato i tifosi di Francia. «Sono stato popolarissimo e lo sono ancora oggi, perché i francesi si sono indentificati in me. Mi hanno incoraggiato sempre e comunque. Anquetil era fortissimo, ma troppo algido, distante dalla gente. Dico sempre: Anquetil e Merckx sono stati grandissimi e non avevano bisogno del tifo degli sportivi, io mi nutrivo».
Quando Poulidor ha cominciato la sua carriera, c’era ancora Louison Bobet in gruppo. Quando si è ritirato, c’era già Bernard Hinault. Nel frattempo, Jacques Anquetil e Eddy Merckx gli hanno rubato gran parte del palmarès, ma non la scena. A causa loro, non ha mai indossato, nemmeno per un sol giorno, la maglia gialla del Tour de France, anche se a 40 anni (1976), saliva ancora sul podio a Parigi (terzo), per l'ottava volta (tre secondi e cinque terzi, ndr). Il suo braccio di ferro con Anquetil sul Puy-de-Dôme nel 1964 rimane il duello più famoso di tutta la storia del ciclismo francese. Mai un ciclista fu amato in Francia quanto lui, che gli aficionados chiamavano semplicemente «Poupou», nonostante i suoi innumerevoli secondi posti; nonostante le sue innumerevoli vittorie che l'hanno fatto diventare lo sconfitto più vincente di Francia.
Queste le vittorie di un perdente: una Vuelta, un titolo di campione di Francia, una Freccia Vallone, un GP delle Nazioni (a cronometro sulla distanza di 100 chilometri), due Parigi-Nizza (a 36 anni ha beffato il grandissimo Merckx del 1972), due volte il Delfinato, cinque il Criterium Nazionale (prima che diventasse il Criterium Internazionale), e poi Midi Libre, la Settimana Catalana e quella Sanremo del 1961... «Ero alla mia prima Sanremo - racconta -. Era la prima volta del Poggio. Ricordo che forai sul Capo Berta ma non c’era nessuno a darmi una ruota. Il mio diesse, Antonin Magne, arrivò così tardi che mi accomodai direttamente in macchina accanto a lui: a quel punto mi sembrava totalmente inutile continuare. Fu lui a rimettermi di forza in bicicletta. Tornai in testa alla corsa e attaccai sul Poggio facendo il vuoto. Ma la jella non era ancora finita: in prossimità dell’arrivo, un carabiniere mi spedì in una direzione sbagliata. Capito al volo che c’era qualcosa che non andava, tornai sui miei passi prendendo il senso di marcia giusto e riuscii a vincere per una manciata di secondi».
Oggi Poulidor fa Poulidor: va in giro per la Francia a promuovere un po' di tutto, soprattutto se stesso. Vende biciclette che portano il suo nome, fa l'uomo immagine per una importante compagnia assicurativa francese e promuove anche il marchio di una grande casa automobilistica tedesca. «E poi a Natale vado in Olanda a fare il nonno. Mia figlia Corinne è sposata con l’ex-campione Adri Van der Poel. Ma come ogni anno da cinquant'anni a questa parte, a luglio sono impegnato al Tour de France. Lavoro per il Crédit Lyonnais, il main sponsor della maglia gialla».
Poulidor è sempre sorridente, sembra non invecchiare mai: è un entusiasta sempre pronto a inventarsi qualcosa. Nel 2004 ha portato persino il Tour nel suo villaggio del Limousin, nel centro della Francia, a St-Léonard-du-Noblat dove ha sempre vissuto con quella bella ragazza che faceva la postina e che da una vita è sua moglie. «Cosa non mi piace del ciclismo di adesso? Mi spiace che sia venuto meno il contatto diretto tra il campione e il pubblico. I corridori rimangono nel loro pullman, escono per firmare l’elenco dei partenti e tornano sul pullman. Sono diventati inaccessibili».

Molto diversi da Raymond Poulidor: «Uno che è arrivato troppe volte secondo, ma è sempre stato primo nel cuore degli sportivi di Francia. Perché vincere è importante, ma non è tutto». Per una semplice questione di Poupoularité.

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