Controcultura

Da Pound alla discoteca Rimini è una riva fatale

Tondelli ne fu il cantore (censurato). Ma in città esiste e resiste anche un'editoria di qualità

Da Pound alla discoteca Rimini è una riva fatale

Il ponte di Tiberio è lì da duemila anni. Terminato nel 21 dopo Cristo, si erge sopra uno specchio d'acqua. Congiunge il centro di Rimini al Borgo San Giuliano: i cinque archi si riflettono nel fiume realizzando cinque sfere perfette, che ipnotizzano. Tale è Rimini: eterna e fugace, concreta e fasulla. Un'illusione. Sul ponte, probabilmente, Tiberio non passò mai: alle godurie romagnole preferiva il tedio di Capri, dove «si lasciò andare a delitti e atti infamanti», ricorda Tacito.

Rimini conserva importanti vestigia imperiali l'arco di Augusto, l'Anfiteatro, dove si sognano tigri, la statua di Giulio Cesare, che di qui passò dando lo start alla guerra civile, alea iacta est , ma importano a nessuno: tutti vanno in spiaggia, chiappe al vento, tra una milizia di brandine. Il genio dei riminesi è noto: sono stati capaci di vendere la cosa più brutta che hanno. Il mare. Un secolo fa a Rimini arrivò pure Ezra Pound. Non gli importava il mare: era affascinato da Sigismondo Pandolfo Malatesta, grande cavaliere d'armi vissuto nel XV secolo, signore della città, condottiero contro tutti, sconfitto dalla propria audacia. Rimini appare, trasfigurata, nel primo ciclo di Cantos (VIII-XI) e nei canti in italiano (LXXII-LXXXIII), sfatti da dolore («Rimini arsa e Forlì distrutta../ Dove il teschio canta/ Torneranno i fanti, torneranno le bandiere»). Il Malatesta piacque a un altro scrittore provocatorio Rimini concupisce balordi, banditi, reietti , Henry de Montherlant, che intorno alla vita strabiliante del cavaliere scrive la pièce più bella, Malatesta, appunto. A Rimini, in un vicolo che si chiama «Gioia» che tutto dice per effervescenza mistica lavora, in solitudine, l'editore Raffaelli: ha in catalogo una collana poundiana, ha pubblicato il Malatesta di Montherlant nella versione di Camillo Sbarbaro. Barba aguzza, posa carbonara, apre le porte del suo antro editoriale a chi gli va. Forse è il più raffinato tra gli editori italiani, i suoi libri sono aristocraticamente introvabili.

Dominata dai «poteri rossi» pur con diverse gradazioni alcoliche, tra PCI, PDS, PD dacché l'Italia è una Repubblica, Rimini è felliniana e palazzinara, mazziniana e clericale, sbruffona, ambigua. Andrea Gnassi classe 1969, Sindaco/tiranno di sinistra ha rifatto il lungomare, per la gioia dei turisti equini, e ricostruito il Teatro Galli, inaugurato da Giuseppe Verdi nel 1857, disfatto dalla Seconda guerra. Ricorda vagamente Gabriele d'Annunzio, che a Rimini come Casanova veniva come un lampo a soddisfare i vizi e a copulare con Eleonora Duse. Quest'anno, dopo un principato decennale, si va a elezioni, galvanizzate dalla defenestrazione del vicesindaco, Gloria Lisi, figurina del PD che ha scelto di farsi una lista propria, fuori dalle pastoie della sinistra.

Rimini è il luogo dove l'azzurro si piglia a morsi, l'istinto primeggia sulla ragione e l'estate è per sempre. Rimini è lo spazio alchemico dove si deve essere altro da sé: il dominio del caos, l'opera del carnevale, il regno di Joker. Pier Vittorio Tondelli è l'autentico Arconte della gnosi riminese. «Voglio una palude bollente di anime che fanno la vacanza solo per schiattare e si stravolgono al sole e in questa palude i miei eroi che vogliono emergere, vogliono essere qualcuno, vogliono il successo, la ricchezza, la notorietà, la fama, la gloria, il potere, il sesso. E Rimini è questa Italia del sei dentro o sei fuori», scrive, reclamando una poetica. Rimini uscì per Bompiani nel 1985, con un lancio pazzesco; i manifesti lo celebravano come «Il romanzo dell'estate», Tondelli, labbra lascive e sguardo caustico, era il taumaturgo della letteratura italiana dell'epoca: inventava mode. Lo scandalo incoronò l'evento editoriale. Il 23 giugno del 1985 Tondelli avrebbe dovuto presentare il libro a Domenica In, alla corte di Pippo Baudo. La partecipazione salta. Il motivo lo spiega Tondelli: «alcune sequenze erotiche hanno turbato i dirigenti televisivi così come nell'80 Altri libertini turbò l'allora magistrato de L'Aquila Bartolomei, fino a spingerlo al sequestro». Le vendite levitano. La presentazione di Rimini il più brutto dei libri di Tondelli, epocali ma sopravvalutati accade al Grand Hotel, il 5 luglio, con Roberto Dago D'Agostino a fare da arbiter elegantiarum: «A un certo punto, tutto pronto per la presentazione, invitati già accalcati, fui incaricato di andare a chiamare Tondelli in camera. La porta era semi aperta e quello che vidi (gang-bang di corpi maschili rovesciati sul letto) ha sempre rappresentato per me un quadro-vivente di quegli anni, terribili e bellissimi».

Di quegli anni, oggi, a trent'anni dalla morte di Tondelli, non restano che un paio di film dimenticabili Rimini Rimini di Sergio Corbucci e Abbronzatissimi e l'etica incontinente della dissipazione. Le folle sono tornate a Rimini: tuffarsi nella calca è un'esperienza spirituale più profonda che immergersi nel Gange o battezzarsi nel Giordano. Scopri chi sei un altrove e percepisci che il corpo è tutto, cioè cenere. Aveva ragione Tondelli, «Rimini è l'Italia intera, lo specchio della società italiana». Valerio Zurlini, ne La prima notte di quiete (1972), l'ha vista come un trattato di nebbie, una resa, riassunta nel volto di Alain Delon e nella trasognata bellezza di Sonia Petrovna, specie di dolce Ade.

Per capire la contraddizione di questo luogo fatale, bisogna andare a Covignano, il colle alle spalle di Rimini, da cui l'Adriatico pare una lamina orfica. Quell'altura è zona sacra: vi sorge un santuario molto amato, la Madonna delle Grazie. Poco più in là, si eleva l'Abbazia di Scolca: è lì dal 1418, ed è magnifica l'Adorazione dei Magi del Vasari; la Madonna emerge dalla pala come un fuoco bianco. Proprio a Covignano nasce l'epopea della festa, l'epica delle discoteche, dove il corpo, ostia profana, si ostenta, si lecca, si mangia, nell'abominio fecale dell'era cannibale. Negli anni Settanta, lassù, Gianni Fabbri ha aperto il Paradiso, «punto di riferimento per il divertimento notturno in tutta Italia». Lo frequentava, accompagnato dal fratello di Gianni, Paolo Fabbri, insigne semiologo, anche Umberto Eco. Il «Re delle notti d'Europa» stava con Grazia, la figlia di Licio Gelli, il guru della P2: lei, 32 anni, morì in un incidente stradale, nel 1988; alla guida della Mercedes 560 c'era lui, Fabbri, salvo per miracolo, amava la velocità. Gianni Fabbri muore nel 2004, quando la Riviera della notte è morta da tempo; l'anno scorso scompare il fratello Paolo.

Vive, ancora, piuttosto, Mario Guaraldi, nei recessi di Covignano. Si muove con il bastone, coltiva l'orto, contorto dal male. Cinquant'anni fa ha fondato la casa editrice che porta il suo nome. Nel 1983 ha organizzato, nello stesso Grand Hotel sotto assedio tondelliano, la presentazione di E la nave va di Fellini: il rinoceronte nella barca, forse, è l'emblema sintetico e violento dell'incongruo riminese. «L'ultima prova è il sospetto. Tutti ti trattano come una merda e tu sospetti di tutto, di tutti. Anche che questo sia vero», mi dice Guaraldi. Pare un profeta assiso sul baratro.

Il giorno, a Covignano, dura un attimo di più che altrove, quasi trattenesse il respiro; è come una rete, la luce, a strascico.

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