Un prefetto in ostaggio

Un prefetto in ostaggio

Ad alta velocità, e con gli stessi effetti del caso Tav, la malattia infantile di certa sinistra, che si manifesta con l’avversione alla modernizzazione e alle grandi infrastrutture, colpisce anche l’Unione che aspira a conquistare il Comune di Milano. E fa venire la febbre al candidato sindaco del centrosinistra. Bruno Ferrante, proprio lui, giorni fa ha tentato un esercizio di buonsenso ed ha affermato che sarebbe favorevole alle grandi opere per la metropoli, dalla risistemazione dell’Ortomercato ai grattacieli nell’area Garibaldi-Repubblica e alle relative infrastrutture. Non l’avesse mai detto.
La sinistra radicale, quella che viaggia con Ferrante sullo stesso cocchio elettorale, pretende di tenere le redini e di guidare la corsa e ha subito bacchettato l’incauto sognatore di grandi opere. Dario Fo è sceso in campo ed ha affermato che i propositi di Ferrante «sballano», nel senso che non rientrano nel programma concordato e avrebbero l’effetto, secondo il premio Nobel, di confondere l’elettorato di sinistra. Non è un mistero buffo che Fo può usare certi toni perché sa di non essere solo nell’eterogenea compagnia unionista ad essere contrario alle grandi opere, e anche a quelle medie.
C’è chi è pronto a dar battaglia per impedire le grandi arterie sotterranee per smaltire il traffico, ci sono i cantori «sociali» dell’immobilismo e del nanismo urbanistico. Sia chiaro, questi nostalgici del tram a cavalli non sono soltanto nella sinistra radicale e antagonista, sono anche nella liste di Ferrante e in formazioni radical-chic.


Non stupisce che Ferrante, il quale probabilmente avverte il peso delle aspettative dei milanesi, provi ad ammorbidire il programma dell’Unione, stupisce invece che abbia pensato di poterla fare franca con i suoi arcigni compagni di strada, promettendo ciò che non potrà mantenere. La sua esperienza politica non è lunga, ma dovrebbe aver già capito che la sua condizione nell’Unione è quella del «vigilato speciale». Il che, per un ex prefetto, è un po’ troppo.

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