nostro inviato
a Cernobbio (Como)
Il primo scatto di nervosismo percorre la schiena di Romano Prodi alla seconda domanda della conferenza stampa conclusiva del Workshop Ambrosetti, quando un giornalista gli chiede di commentare le frasi di Napolitano secondo cui «il cantiere delle riforme non deve essere considerato chiuso per sempre».
Il premier reagisce indispettito: «Ma se l'abbiamo appena aperto il cantiere delle riforme, cosa facciamo, lo chiudiamo subito?». Appare irritato, il presidente del Consiglio. Lintervento in videoconferenza dal Quirinale non deve avergli fatto grande piacere, perché è il Colle a riprendere l'iniziativa del dialogo con l'opposizione mentre lui, l'inquilino di Palazzo Chigi, preferisce tirare dritto per la sua strada.
C'è malumore per il richiamo al «precedente governo», che toglie a quello attuale l'esclusiva del risanamento. Ma soprattutto c'è quella sottolineatura sui conti pubblici, sull«impegno comune» a «mantenere gli impegni presi con le istituzioni europee da questo e dal precedente governo». Che suona come un richiamo nemmeno troppo velato all'esecutivo unionista che giunge pochissimi giorni dopo gli inviti al rigore partiti dal commissario europeo Almunia e dalla Banca mondiale. Nel governo manca la chiarezza sull'ossatura della Finanziaria, si ondeggia sulle cifre e sugli obiettivi, crescono le incertezze sulla riforma delle pensioni che - come ha ammesso lo stesso Prodi - hanno indotto molti lavoratori a chiedere in questi mesi di andare in pensione anticipata.
Finché il Quirinale si limita a una moral suasion sui grandi temi, sulle grandi riforme istituzionali, a Prodi va bene. Il premier lo dice apertamente, quasi fosse un promemoria per l'inquilino del Colle più alto. «Ci sono casi in cui io stesso - sillaba il Professore - mi sono impegnato in modo unilaterale a varare riforme soltanto con l'appoggio delle opposizioni, perché è ora di finirla di decidere a colpi di maggioranza mutamenti che riguardano l'ossatura istituzionale dello Stato. Le questioni sulle quali ho preso questo solenne impegno sono la riforma elettorale e le riforme costituzionali. Sul resto - aggiunge Prodi con altrettanto vigore - ci può essere una maggioranza larga o stretta a seconda dei temi e delle circostanze».
Dialogo sì, dunque, ma sui grandi temi; sul resto, è tutto da vedersi. «Il decreto Bersani è stato un primo importante passo riformatore - spiega il presidente del Consiglio - e altri ne seguiranno. Ci vogliono altre profonde riforme che attueremo sotto la responsabilità del governo». Quindi, fa intendere Prodi, sarà responsabilità del governo approvare la Finanziaria senza cercare troppi agganci con il centrodestra. E quando un cronista insiste, Prodi taglia corto: «Napolitano ha parlato di convergenze sui contenuti. Del resto, stamattina (ieri per chi legge, ndr) ho notato atteggiamenti contrastanti nell'opposizione. Ho rilevato una chiusura netta di Tremonti e una buona apertura dal sindaco di Milano Letizia Moratti. Constato questo e mi fermo qui». Se Napolitano batte il tasto del dialogo, Prodi risponde che è impossibile dialogare con una minoranza divisa. E poco importa se vengono messe sullo stesso piano le dichiarazioni del primo cittadino milanese e quelle del vicepresidente della Camera e di Forza Italia.
La precisazione del Quirinale smorza le velleità di «governissimo» di Tremonti, ma allo stesso tempo non fa nessuno sconto al premier ulivista.
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