Il premio giornalistico contro tutti i giornalisti

di Luigi Mascheroni

Marco Comini, storico oste del ristorante di strettissima ortodossia meneghina Al Matarel, era politicamente anarchico, e caratterialmente beffardo. È mancato un anno fa. Per cinquant'anni è stato l'anima della cucina di tradizione milanese. Per non perderne del tutto la memoria, i suoi amici, ospiti fissi per una vita del suo locale - feudo craxiano negli immaginifici anni Ottanta e ritrovo da sempre del giornalismo cittadino, ora gestito dalla moglie Elide - hanno inventato il premio «Al Matarel»: politicamente trasversale (in giuria ci sono colleghi del Corriere della Sera, della Stampa, di Repubblica, del Giornale) e cinicamente ironico.

Primo e unico premio della storia senza un Presidente, senza regole, senza statuto, senza fine di lucro e come segretario un idraulico (l'unico in grado di far funzionare bene un'istituzione culturale), il «Matarel» è stato ufficialmente fondato ieri, attorno ai tavoli del locale del quartiere Garibaldi, presenti venti impeccabili giurati: cronisti, editori, fotografi, graphic designer e varia intellettualità. All'ora di pranzo la Milano del giornalismo e dell'arte di rito ambrosiano ha brindato - prima della cotoletta e dopo il risotto giallo - alla prima edizione del «Matarel». Assegnato a Marco Comini, alla memoria, e all'infaticabile Elide. Cioè a un pezzo di storia di Milano.

Per il resto, il portavoce (provvisorio) del premio - Armando Torno, ottimo intellettuale dall'eccellente forchetta - ha già chiesto di presentare le candidature

per il prossimo anno. Che devono obbedire a un'unica condizione. Essendo un premio giornalistico, ma volendo premiare una persona di valore, l'importante è che non sia un giornalista. Ce ne vorrebbero di più, di premi così.

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