PREMIO ISCHIA, CHE NOIA I GALÀ IN TV

L’estate è il regno dei premi trasmessi in tivù, una sorta di «tassa fissa» che incombe sul telespettatore ogni volta che arriva la bella stagione. Premi di tutti i tipi e per tutti i gusti, dai più tradizionali ai più insulsi, generalmente organizzati per dare risalto più agli assessorati locali che ai premiati, più «alla splendida cornice di...» che a tutto il resto. Non è un caso che anche i premi potenzialmente più interessanti sotto il profilo degli aspetti da approfondire, come il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo (martedì su Raiuno, ore 23) trascorrano via insipidi come una routine da sbrigare il più in fretta possibile, senza autentica curiosità verso la materia oggetto della presenza della telecamere (che in questo caso era il giornalismo, professione tuttora circondata da un certo fascino almeno a giudicare dalla massa di giovani che vorrebbero accedervi). Di questa ennesima delusione non è colpevole la conduttrice, perché Milly Carlucci ha svolto il suo compito, anche in questa occasione, con la consueta dose di rodata professionalità che le è giustamente riconosciuta. Ne è invece responsabile l’ostinata incapacità di dare un senso televisivamente compiuto a questo genere di cerimonie, la disabitudine a pensarle come trasmissioni che dovrebbero avere un capo e una coda, senza ridurle a una insignificante e noiosa sfilata di premiati che dicono due parole in croce e poi si devono allontanare in fretta per lasciare spazio non solo alle altre consegne ma anche alle canzoni, ai Matia Bazar, a Noa, a Ron e persino a Michele Zarrillo. Senza nulla togliere agli intermezzi musicali - che peraltro hanno scandito il premio finendo per prendere il centro della scena fin dall’inizio - si sarebbe potuto pensare a una trasmissione che consentisse di conoscere, del mestiere degli inviati e dei reporter e dei corrispondenti, qualcosa che il pubblico non sa. In fondo non ci sono molte occasioni a disposizione per approfondire il lavoro, le difficoltà, il percorso umano e professionale di un giornalista. In tivù e sui giornali, al telespettatore come al lettore, arriva sempre e solo il lavoro «finito», l'ultima e decisiva fase di un cammino che ha molte tappe e sfaccettature.

La consegna di un premio potrebbe essere l’occasione giusta per saperne di più su come si confeziona una buona corrispondenza, su come si prepara un buon reportage o un bel servizio fotografico, su come nasce e si sviluppa uno scoop (erano premiati, tra gli altri, Jean Daniel de Le Nouvel Observateur, Antonio Caprarica della Rai e Lirio Abbate dell’Ansa). Invece, ogni volta, scopriamo che di tutto questo non interessa nulla né agli organizzatori del premio, né agli autori del programma, né probabilmente agli stessi premiati.

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