Prendere a pugni la vita per uscire dalla camorra

Vivacchiamo in un'epoca triste, senza urgenze, senza veri entusiasmi, confondendo allegramente il benessere con il rincoglionimento generale. E i talenti, che comunque ci sono non fosse altro per qualche legge dei grandi numeri, che fanno? Se ne vanno. Se possono. Altrimenti si svendono o appassiscono. Ma ci sono posti in cui non ci si accontenta di sopravvivere in un eterno compromesso. Luoghi dove alcuni uomini decidono di essere onesti, dove alcuni uomini non hanno paura di lavorare profondamente su se stessi per scoprire chi si è veramente. E questi sono i luoghi in cui si vive con dolore. Dove esistono delle reali urgenze. Dove non si vivacchia intontiti da un benessere di cartapesta, ma si vive male e basta. In Italia ne esistono ancora. Sono luoghi retti da sistemi malavitosi, luoghi dove per essere qualcuno devi essere affiliato a un clan, impugnare un'arma, vestire i panni del gangster. Città e paesi dove però alcuni uomini sentono la necessità di intraprendere un nuovo percorso per costruire delle alternative al crimine, intuendo che se cambi le cose senza cambiare te stesso finisci come i rivoluzionari che restaurano dittature. Domenico Brillantino, ex pugile, si occupa di pugilato da sempre. Nel '78, a Capodrise in provincia di Caserta, dà vita, con altri appassionati, al primo nucleo di quella che diventerà la Excelsior Boxe di Marcianise, la palestra da cui usciranno, tra gli altri, il peso massimo Angelo Musone, bronzo alle olimpiadi di Los Angeles nel 1984, Antonio Brillantino, campione italiano dilettanti nel 1997 e medaglia d'oro al torneo internazionale d'Austria nel 2000, e il peso massimo Clemente Russo, argento olimpico nel 2008 e campione del mondo dilettanti nel 2007. Domenico Brillantino allena solo dilettanti, quei pugili che combattono con la canottiera e il caschetto, gli unici che possono partecipare alle Olimpiadi, e dagli anni Ottanta la sua palestra è quella che fornisce il maggior numero di atleti alla nazionale italiana. In questo lavoro è coadiuvato da Antonio Santoliquido e Vincenzo Brillantino, a loro volta allenatori e tecnici. Ma perché allenare solo dilettanti e non professionisti? «Se vuoi vedere del pugilato devi guardare combattere i dilettanti. Vuoi sapere il perché? Perché qui non ci sono soldi. Questo non è ancora un business, e i ragazzi combattono perché credono in quello che fanno». Come si mantiene la Excelsior Boxe? «Il Comune ci ha dato la possibilità di lavorare in una nuova palestra, dove non dobbiamo pagare affitto. Abbiamo uno sponsor, adesso, che ci aiuta nell'acquisto delle attrezzature e ci permette di dare assistenza medica agli atleti. Non chiediamo soldi. Non voglio arricchirmi. Sono già ricco di cose che non si comprano. E poi ti immagini uno che paga per prendere cazzotti? Se vuoi farlo lo fai e basta». A Marcianise esistono altre due palestre che portano avanti una tradizione nata negli anni '30, la «P. Zinzi» di Salvatore Bizzarro e la «Medaglia d'oro» di Raffaele Munno. Esiste competizione? «Esiste la voglia di fare cose giuste per i ragazzi che vengono ad allenarsi. Chi rende nobile questo sport sono gli allenatori. E noi dobbiamo dare un buon esempio, lavorare con chiarezza. Far capire che il pugilato non è un'attività crudele e violenta. Il pugilato è rispetto per sé e per gli altri. Io non caccio via nessuno, accolgo chiunque si presenti agli allenamenti e qui, visti i problemi che abbiamo, può capitare un po' di tutto». Camorristi? «Anche. Ma se si presentano a questa porta allora possono cambiare. E noi dobbiamo lavorare anche per questo. Per tirare fuori da ognuno l'onestà e il carattere. Alcuni diventano dei campioni, ma tutti sono pronti a iniziare una nuova vita». Proprio tutti? «Alleno da più di trent'anni. E ad ogni ragazzo io e i miei collaboratori cerchiamo di offrire delle possibilità. Non solo sul ring, ma anche in altre occupazioni. Nelle fiamme oro della polizia, ad esempio». Negli ultimi anni c'è stato un proliferare di pugili stranieri. Romeni, albanesi, bielorussi, bulgari. Alcuni molto preparati, potenti, dei possibili campioni o magari già campioni nei Paesi da cui provengono. Hanno veramente delle speranze? «Sono storie molto tristi. La maggior parte di questi pugili arrivano in Italia sperando di fare carriera ma finiscono, per borse di poche centinaia di euro, a fare incontri fasulli, spesso con pugili italiani che per iniziare la loro carriera nel professionismo devono battersi con avversari poco impegnativi. La federazione pugilistica italiana ha richiamato all'ordine diverse società che organizzavano incontri troppo sbilanciati assicurando le vittorie ai propri atleti. Purtroppo la boxe è fatta anche di queste cose, da sempre. Soprattutto quando ci sono di mezzo i soldi». I soldi sporcano tutto? «Sì, è così. Per questo alleno solo dilettanti. Non amatori ma dilettanti, ragazzi, e da un po' di tempo anche ragazze, che si allenano per salire sul ring, non per fare ginnastica». Già, perché se a Marcianise come in Ucraina, Russia e Bielorussia la boxe è ancora un modo per uscire dalla miseria del crimine o dalla miseria e basta, in altri Paesi e in altre città la boxe diventa sempre più uno sport paragonabile a mille altri. Il ring non è più uno spazio astratto in cui fare importanti scoperte.

Chi infila i guantoni lo fa con lo stesso spirito con cui un altro indossa una tutta dimagrante per correre su un tapis roulant e, sudando come una fontana e percorrendo finti chilometri, non arrivare da nessuna parte.

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