«Prendi la mira e tira» Ecco il mantra di Louis il sudafricano

Si dice che chi trova un amico, trova un tesoro.
Ecco: Louis Oosthuizen di amici ne ha trovati due, Gary Player e il vento.
E, siccome la matematica non è un’opinione, a casa, di tesori, se ne è dunque portati due: il titolo dell’Open Championship e la prima, ricchissima moneta spettante al vincitore.
Niente male per un sudafricano che, fino a domenica, sullo European Tour aveva vinto un solo torneo, in Andalucia, all’inizio di questa stagione 2010.
Dunque, dicevamo di Gary Player: l’inossidabile campione ha telefonato al nostro Louis prima delle ultime, fatidiche diciotto buche a Saint Andrews. Lo ha incoraggiato, caricato e ammonito: «Ricordati che il pubblico - gli ha anticipato - sarà tutto dalla parte di Paul Casey. Ma non ti preoccupare: è successo anche a me al Masters contro Jack Nicklaus».
«E come è andata è finire?» gli ha domandato un intimorito Oosthuizen.
«Li ho zittiti entrambi», ha replicato da par suo il grande vecchio.
Ora. Sarà forse per questa telefonata corroborante, che il piccolo sudafricano al pubblico non ha mai prestato orecchio. Nemmeno quando, sul tee della uno, gli applausi per il suo compagno di gioco e avversario, l’inglese Paul Casey, sono stati scroscianti e per lui, invece, sudafricano in terra straniera, assai tiepidini.
È andato avanti invece per la sua strada - o per la sua routine - il piccolo Louis, con fiducia nel suo swing da certificato di garanzia e pochi pensieri in testa. Perché si sa: a golf, figuriamoci nel giro finale dell’Open Championship, pensare fa bene. Certo. Ma pensare troppo fa malissimo.
Routine di gioco dunque veloce: «mira e tira», l’unico mantra, che, come un’autostrada, sembrava aprire in due il mare dei pensieri che fluttuava nella testa di Oosthuizen. Semplice, ma allo stesso tempo difficilissimo. D’altronde lo stesso Balzàc scriveva che la semplicità è un lusso riservato alle persone ricchissime, di denaro o di sentimenti. Non giocava a golf, evidentemente, il romanziere francese. Perché, altrimenti, non si sarebbe dimenticato delle persone ricchissime di talento. Come il ventisettenne sudafricano, che nel corso del torneo ha avuto dalla sua anche i favori di Eolo, è vero, ma che ha saputo gestire senza cedimenti e sbavature le ultime, pesantissime trentasei buche dell’Open Championship.
È innegabile infatti che il tee time assai mattiniero del venerdì di gara abbia favorito le chance di vittoria di Louis, evitandogli la mattanza del pomeriggio, quando il vento soffiava a pieni polmoni e imbastardiva le traiettorie dei colpi. Ma è pur vero che non si vince a Saint Andrews con ben sette colpi di distacco se non si è un grande campione. Se nel sangue, manco fosse una piastrina, non si ha il talento con la T maiuscola. Se non si è capaci di cercare tenacemente ciò che realmente si vuole.
Ecco.

Forse niente ha una valida ragione per succedere.
Forse tutto è un capriccio. Vincere, perdere: l’onnipotenza del capriccio.
Forse.
Ma non a Saint Andrews.
Perché su quei green anche il fato si piega ai grandi campioni.

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