Pressing tedesco su un’Europa divisa

Una svalutazione consistente dei titoli di Stato greci nel portafoglio delle banche europee, con conseguente ricapitalizzazione degli istituti messi in difficoltà dai sirtaki bond. È questo, in estrema sintesi, il risultato al quale è giunto l’Ecofin conclusosi ieri a Bruxelles, al quale è seguito un Eurogruppo convocato in fretta e furia per fare da apripista al Consiglio Ue di oggi. Poi un nuovo round di incontri fino a mercoledì prossimo: specchio della provvisorietà, originata dalle divisioni tra Francia e Germania, con la quale l’Ue gestisce una crisi senza precedenti.
Venerdì notte i ministri finanziari europei avevano sostanzialmente dato il via libera all’ultima tranche da 8 miliardi di euro di aiuti ad Atene, mentre ieri mattina è stato formalizzato il mandato al direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, «di negoziare l’haircut sul debito greco direttamente con gli investitori». L’orientamento sarebbe quello di convincere le banche a ridurre del 50% i propri crediti, contro il 21% indicato nel vertice dello scorso 21 luglio: in questo modo, il debito pubblico greco scenderebbe al 120% del pil entro il 2020. «La partecipazione delle banche deve essere volontaria, ma se gli istituti non saranno d’accordo, si dovrebbe arrivare a una soluzione obbligatoria», ha commentato il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker.
La soluzione prospettata inciderebbe negativamente sul patrimonio di vigilanza dei gruppi finanziari europei (soprattutto quelle tedesche, austriache e francesi hanno in pancia parecchi titoli ellenici). Ecco perché i presidenti del Consiglio (a cui i ministri economici hanno passato la patata bollente) devono mettere nero su bianco un’intesa per una ricapitalizzazione da 108 miliardi di euro degli istituti di credito, innalzando al 9% il patrimonio core. «Siamo a un livello che è sopra il 10 per cento», ha messo le mani avanti il direttore generale di Intesa Sanpaolo, Marco Morelli, escludendo il ricorso al mercato. La sostanza del confronto finisce qui. Il resto è una serie di veti incrociati. A partire dallo stop tassativo all’idea francese di utilizzare il fondo salva-Stati da 440 miliardi, come banca in grado di supportare i Paesi in difficoltà. Troppo forte il no di Berlino, spalleggiata da Olanda e Austria. «Ora le posizioni della Germania e della Francia si stanno avvicinando», ha detto il cancelliere tedesco Angela Merkel, annunciando il raggiungimento di «obiettivi ambiziosi entro mercoledì». Si ripartirà dall’idea di creare un altro «veicolo» in grado di immettere risorse nel sistema. Vanno inoltre registrate le sollecitazioni della Merkel e del suo ministro degli Esteri, Guido Westerwelle, affinché si «inaspriscano le sanzioni ai Paesi indebitati» e affinché «Fmi e Ue intervengano direttamente nei bilanci» delle nazioni in difficoltà. Argomenti che, tuttavia, sono stati messi in agenda nel vertice ristretto tra il presidente francese Nicolas Sarkozy e la Merkel di ieri sera.
Si comprende bene come il procedere in ordine sparso renda poco autorevole il «richiamo» all’Italia sulla necessità di licenziare a breve il decreto sviluppo. Intanto, in un colloquio telefonico con il presidente della Commissione Ue, Josè Manule Barroso, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha lanciato il progetto «Eurosud», ovvero una revisione dell’uso dei fondi strutturali comunitari attraverso una «regia rafforzata» sia per gli interventi a lungo periodo, sia per quelli che hanno effetti immediati e rapidi.

«Nel Sud Italia, infatti, non c’è lo sviluppo, ma ci sono i fondi, per cui non servono risorse aggiuntive», ha evidenziato il titolare del Tesoro. Il piano potrebbe trovare spazio all’interno delle conclusioni del Consiglio europeo.

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