La legge di Bilancio 2026 interviene sulla previdenza complementare cambiando sia gli incentivi fiscali sia alcune regole pratiche di funzionamento dei fondi. La misura che farà più rumore tra i neoassunti riguarda il Tfr che finisce nel fondo “per inerzia”, cioè senza una scelta esplicita: dal 1° luglio 2026 non verrà più collocato automaticamente nel comparto garantito, ma sarà indirizzato verso percorsi d’investimento differenziati, costruiti soprattutto in base all’età e al tempo che manca alla pensione. In parallelo arrivano nuove modalità per incassare la prestazione finale, con tassazioni diverse a seconda della formula, e viene ribadito un punto politico-chiave: la previdenza integrativa non potrà essere usata per raggiungere gli importi soglia necessari all’uscita anticipata contributiva a 64 anni.
Il tema deducibilità
Sul capitolo deducibilità, l’intervento è contenuto ma concreto. Dal 2026 il tetto annuo dei contributi deducibili sale a 5.300 euro (oggi è 5.164,57). Nel calcolo rientrano i versamenti del lavoratore e quelli del datore di lavoro o del committente, sia volontari sia previsti da contratti e accordi collettivi, inclusi quelli aziendali. Vengono conteggiate anche eventuali somme accantonate dall’impresa in fondi interni su posizioni individuali. Resta invece escluso, come già ora, il Tfr conferito al fondo: non pesa sul massimale. Inoltre viene aggiornato anche il meccanismo di recupero delle deduzioni “perse” nei primi anni di adesione: resta la possibilità di recuperarle nei venti anni successivi al quinto anno, ma ogni anno non si potrà recuperare più di 2.650 euro, cioè la metà del nuovo plafond. È un adeguamento dei parametri, non un premio aggiuntivo.
Tfr e la quota massima incassabile
Un'altra svolta riguarda proprio il Tfr conferito per silenzio-assenso. Finora, in assenza di indicazioni, la regola imponeva di investire nella linea più prudente, con logica di protezione del capitale. Dal 2026, invece, contributi e Tfr entrati senza una scelta esplicita dovranno finire in linee o “percorsi” con profili rischio-rendimento diversi, disegnati principalmente sull’età dell’iscritto e sul suo orizzonte temporale. La Covip dovrà fissare i requisiti minimi di questi percorsi: in sostanza si passa da un default unico e molto conservativo a un’impostazione più personalizzata. Sulle prestazioni in uscita, cambia anche la quota massima incassabile subito in capitale: il limite sale al 60% del montante finale (valutato al valore attuale), rispetto al 50% attuale. Rimane poi in piedi la regola dei montanti “piccoli”: si potrà continuare a incassare tutto in capitale quando la rendita, calcolata convertendo almeno il 70% del montante, risulta troppo bassa, cioè inferiore al 50% dell’assegno sociale.
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Le nuove modalità di erogazione per i fondi a contribuzione
Per quanto riguarda i fondi a contribuzione definita vengono introdotte tre nuove modalità di erogazione. La prima è una rendita a tempo determinato: viene pagata per un numero di anni pari alla vita attesa residua, calcolata usando la speranza di vita Istat all’età dell’aderente. Il meccanismo punta a “spalmare” il capitale residuo sugli anni rimanenti: è una rendita “a termine”, non una rendita per tutta la vita. La seconda opzione prevede prelievi modulabili, ma non totalmente liberi: non si può andare oltre un tetto legato alle rate maturate e non riscosse della rendita a durata determinata. In pratica si può decidere il ritmo, però dentro un perimetro definito. La terza formula consente di incassare il montante in modo frazionato per un periodo non inferiore a cinque anni; qui la Covip dovrà stabilire gli aspetti operativi decisivi (periodicità e numero minimo di rate), che faranno la differenza tra una flessibilità “reale” e una solo teorica. In tutte queste ipotesi il pagamento avviene direttamente dal fondo, e il capitale continua a essere gestito anche durante la fase di erogazione; se l’aderente muore, l’eventuale residuo viene riscattato dai beneficiari designati.
La tassazione
La tassazione, però, non è uguale per tutti. Rendita a durata determinata e prelievi modulabili seguono lo schema delle prestazioni in capitale: base imponibile calcolata al netto delle componenti già tassate e dei contributi non dedotti, con aliquota del 15% riducibile di 0,30 punti per ogni anno successivo al quindicesimo, fino a un taglio massimo di 6 punti. Per l’erogazione frazionata del montante, invece, arriva una disciplina ad hoc più onerosa: ritenuta del 20%, riducibile di 0,25 punti per ogni anno oltre il quindicesimo, fino a una riduzione massima di 5 punti.
Uscita anticipata contributiva
Sul fronte dell’uscita anticipata contributiva, la manovra mette nero su bianco che le prestazioni della previdenza complementare — sia in capitale sia in rendita, comprese le nuove formule — non possono essere conteggiate per raggiungere gli importi soglia richiesti dall’anticipo, incluso quello a 64 anni con requisito pari a 3,2 volte l’assegno sociale. Tradotto: il fondo integrativo resta un supporto al reddito, ma non è utilizzabile per “costruire” il requisito economico che consente di anticipare la pensione pubblica.
Il tema tutele
Sul capitolo tutele, vengono estese anche alle nuove rendite le protezioni già previste per le prestazioni complementari (limiti a cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità), includendo in modo esplicito anche il caso del residuo riscattato dagli eredi.
Restano invece immutate le regole su anticipazioni e riscatti, che non sempre godono delle stesse protezioni. La decorrenza generale è fissata al 1° luglio 2026, con aggiornamento delle istruzioni Covip entro la stessa data. Le nuove norme non si applicano ai dipendenti pubblici, mentre la parte fiscale ha valenza generale.