Previsioni economiche, un film dell’errore

Per la prima volta da sessant’anni il pil mondiale potrebbe scendere nel 2009 sotto zero, annuncia il managing director del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn. Un mese fa il Fmi aveva pronosticato una crescita dello 0,5%, in novembre del 2,2%, in ottobre del 3%. Mai, probabilmente, nella lunga storia di stime sbagliate del Fondo monetario si era registrato un simile scombussolamento di analisi e previsioni. La crisi ha messo in crisi, scusate il gioco di parole, anche il modello econonometrico del Fmi, il più avanzato del pianeta?
Per carità, sotto accusa non c’è soltanto il Fondo monetario, che almeno fa autocritica pubblicando sempre, insieme all’ultima stima, anche quella precedente in modo che si veda subito l’errore.
In realtà, tutti i principali centri di previsione economica hanno sbagliato le loro stime per l’infelice anno 2009: ci siamo allora «divertiti» - parola grossa in queste circostanze - a ricordare che cosa i principali 16 previsori privati ipotizzavano per la crescita economica del nostro Paese nel giugno 2008, all’incirca nove mesi fa, per quanto riguarda la crescita del pil italiano nel biennio 2008-2009.
Tutti - proprio tutti - avevano previsto una crescita modesta per il 2008, e una più sostenuta, fino a un massimo dell’1,5%, per il 2009. Numeri che suonano quasi comici se pensiamo che il 2008 si è concluso (dati ufficiali dell’Istat) con un calo del pil dell’1%; e che per quanto riguarda il 2009, la Banca d’Italia ipotizza (non prevede, perché via Nazionale non fa mai previsioni ufficiali del pil) una discesa del prodotto del 2,6%, o forse peggio. Per quanto riguarda le stime 2008 «maglia nera» per Cer e Centro studi Confindustria, «maglia rosa» per Global Insight. Tutti avevano scritto il segno più nello loro tabelline. Non parliamo poi del 2009, che vede in testa alla classifica delle previsioni sbagliate la Bank of America, seguita da Eni e Confindustria.
I Centri di ricerca economica si sono talmente abituati a sbagliare le previsioni, che quasi non ci fanno più caso. Eppure è sulla base delle stime che gli Stati e le imprese fanno i loro conti, e imbastiscono i loro piani. Nel gennaio dell’anno scorso, quando la crisi era già in atto da almeno sei-sette mesi, il Consensus (l’insieme di tutti i previsori) dava ancora una crescita dell’1,2% in Italia. Con una crescita simile, le entrate fiscali aumentano, i consumi anche, insomma si fanno ancora programmi di sviluppo. Perché, invece, c’è stato il crollo? Perché nessuno l’ha previsto?
Probabilmente, i «modelli» attuali non sono adeguati all’ampiezza e alla diversità della crisi finanziaria in corso. «Siamo in terra sconosciuta», ha detto più volte Giulio Tremonti. «In presenza di sviluppi eccezionali, tali da costituire un momento di discontinuità con il passato, viene a mancare la regolarità statistica di riferimento», ha spiegato in un intervento pubblico il vicedirettore generale di Bankitalia, Ignazio Visco, un passato da capoeconomista all’Ocse.

C’è anche difficoltà a rappresentare l’aspetto più pericoloso della crisi, cioè come l’epidemia si sia trasmessa dai mercati finanziari all’economia reale, spiega ancora Visco. Conclusioni? Leggete le previsioni, ma non prendetele mai per oro colato.

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