Il prezzo della libertà

Ormai è inutile discutere sulle ragioni e sull’opportunità dell’indulto, dato che cosa fatta capo ha, ma vale la pena di interrogarsi sulle conseguenze pratiche, che dalla scarcerazione dei detenuti direttamente discendono. La questione la solleva il Comune di Milano, che fa tesoro di un consolidato pragmatismo e subito invita a guardare dietro e oltre il paravento delle buone intenzioni e della clemenza ostentata. Da San Vittore presto usciranno centinaia di carcerati, molti dei quali sono extracomunitari senza casa e senza lavoro, senza alcun punto di riferimento, se si escludono le cattive compagnie che li avevano portati in carcere. Nel momento in cui lasciano le celle, questi sradicati diventano un «problema sociale» che si scarica sull’ente locale, il più vicino a chiunque manifesti bisogni e disagi.
Accadrà a Milano, ma anche a Bologna, a Roma, ovunque.
Anche se il Guardasigilli è Clemente, la clemenza da sola non basta, come raggio salvifico, a reinventare gli uomini che hanno sbagliato. Bisogna seguirli, assisterli, aiutarli nei percorsi di reinserimento sociale di cui tanto si parla. Se l’indulto aveva realmente lo scopo di aiutare soprattutto i povericristi finiti nel tritacarne giudiziario, beh, allora bisogna che l’indulto sia seguito da interventi reali che allontanino dai liberati la prospettiva del ritorno in carcere. Ma questi interventi costano e non è accettabile che la politica nazionale scarichi sugli enti locali i suoi errori di previsione.


L’indulto è passato: basta questo? Se il Comune di Milano vuole rispettare le sue tradizioni di assistenza vera, deve aiutare i poveretti che saranno scarcerati, ma per farlo dovrà trascurare qualche altra categoria di bisognosi: anziani, malati, portatori di handicap. E il dilemma si porrà anche nelle altre città, che non nuotano nell’oro. Insomma, il governo centrale deve farsi carico anche dei costi del dopo-indulto. La clemenza a metà non è clemenza, è soltanto demagogia.

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