(...) oggi la base elettorale sia la stessa che ci fu quando organizzammo quelle primarie alla disperata, tanto per far partire il principio che si ascoltano gli elettori. Quelle del 2001 erano primarie false perché organizzate tra eletti e dirigenti, una base ristretta e organica, e quindi con un risultato già dato».
Vuol dire che lo scontro tra Stefano Draghi e Davide Corritore è falso e che è già tutto deciso?
«In questo caso la competizione Draghi-Corritore è una competizione vera, ma una base elettorale così ristretta non dà spazio a candidature outsider e le primarie sono false comunque. Un Obama non si presenta, le scelte sono totalmente interne alla parte più ristretta del partito. Così mortifichi il progetto che hai proposto agli elettori e poi privi di potere vero il coordinatore cittadino che eleggi. Già le primarie per il coordinatore provinciale, fatte a metà luglio, poco frequentate, erano molto deboli. Il fatto è che cè la paura della democrazia. Non dico che è così solo nel Pd, ma io parlo per il mio partito. Pensavamo a una democrazia regolata per includere, non per escludere».
Contesta il metodo o non le piacciono neppure i candidati?
«Sia Draghi che Corritore sono candidati di livello, il problema non sono le qualità personali dei due, è la ristrettezza del campo. Corritore è una figura che può apparire esterna ma è stata concordata in una logica spartitoria tra Ds e Margherita. Il Pd di Milano è minoranza, ma una minoranza asfittica, prigioniera di dinamiche patologiche».
Pensa che a Milano la situazione sia più grave che altrove?
«A Bologna ci sono cinque candidati sindaci! A Milano non accadrebbe mai, si cercherebbe di bloccare il candidato, di mettersi daccordo. Si tende a restringere sempre più. La direzione regionale è stata votata con un listone infinito dove non si è scelto nessuno. Tu ne hai duecento davanti e te li ciucci tutti. Sono centellinati uno per uno, in relazione alle correnti. Cè timore di andare in mare aperto, paura che la democrazia possa scuotere la nomenclatura».
Il Pd governa in Provincia. Che previsioni fa per il voto del prossimo anno?
«Tutti vedono Penati a rischio. Laltra volta abbiamo vinto perché ci siamo incuneati in una divisione tra centrodestra e Lega. Penati si è mosso e si muove bene, lavora con atteggiamento istituzionale anche per Expo e ha fatto tutto il possibile. Ma la sua è una partita difficile perché il Pd ha le gambe rinsecchite. A Milano è frutto e anche causa di debolezza. Tre o quattro persone, i soci di maggioranza, decidono per tutti e anche tra i soci di maggioranza lamministratore delegato decide senza sentire i suoi».
Fuor di metafora, vuol dire che decidono tutto solo due o tre ex Ds?
«Sì, con la condiscendenza di alcuni ex Margherita che accettano in cambio di postazioni. È un sistema che non vuole che entrino esterni. Un Partito democratico che ha paura della democrazia è il massimo. E non li schiodi. Proprio perché le procedure sono controllate in questo modo non riesci a far passare idee e proposte nuove. Tutto ciò che non è controllato alla fonte non passa».
E i Circoli del Pd? Sono le vecchie sezioni di partito?
«Per certi aspetti sono le vecchie sezioni. Cè anche gente nuova ma si tratta di persone che sono abbastanza vicine allambiente. Per uno che non venga dai Ds e dalla Margherita aprire un circolo è unimpresa. Lo dico perché ho casi davanti.
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