Prince da applausi, show evento Funk e soul alla corte di Versace

Un’ora e mezzo di concerto a Milano per modelle e vip. Lo staff: «Niente cachet, l’ha fatto per Donatella»

Paolo Giordano

da Milano

Su, lì più avanti, dietro quelle teste, quelle mani alzate. Eccolo, è Prince, suona come se fosse a casa sua, rilassatissimo e geniale, con quella scioltezza di chi è tutt’uno e la possiede proprio, la sua musica. Venerdì sera. Fuori da quello che era il Teatro Alcione, e che da oggi sarà marchiato Versace, c’è una fila che sembra di essere agli Oscar: tutti elegantissimi e sorridenti e very glamourous perché là dentro c’è un evento unico, Prince è pronto a cantare per pochi, saranno mille o un po’ meno, e l’atmosfera è quella carica di energia che aspetta solo che si spengano le luci. Un paio d’ore prima, alla sfilata della collezione donna, lui si è presentato in completo panna e camicia petrolio, occhialoni neri ovviamente, e le modelle, che se ne intendono, hanno subito notato che è fresco di lifting, il terzo dicono. Ma chissenefrega, quando sale sul palco, che è piccolino ed essenziale ma forse un po’ troppo basso, Prince ha lasciato nei camerini il suo personaggio, folle e magari odioso, e si presenta solo per quello che è: un genio musicale, il proprietario di uno stile che potete provare a copiarlo ma tanto non è possibile, e si capisce subito qui, quando le canzoni si presentano con l’anima funky, ma poi sorridono al soul, s’incattiviscono con la chitarra, prendono una vita nuova neppure fossero jazz e finiscono solo quando ne hanno voglia. C’mon.
I colori della musica, in fondo, sono proprio quelli di Versace, forti e sensuali (ma sullo schermo dietro al palco scorrono tinte diverse, più violacee e arancioni) e infatti lo staff della stilista non si impegna troppo a sottolineare che il concerto è un cadeaux dell’artista amico da quindici anni, niente cachet, solo rimborso spese con volo dagli States in business. E se c’è stato un assegno, assicurano, è per la colonna sonora della sfilata, che Prince ha composto in solitario, scattando una foto al suo animo qui e ora.
Poi lo show, stellare.
D’altronde, quando batteria e basso sono marito e moglie (Cora e Josh Coleman Dunham), le coriste sono due gemelle, splendide (Maya e Candy McClean) e alle tastiere c’è il «master musician» Morris Hayes, considerato uno dei migliori organisti viventi, allora sì che c’mon, è davvero il momento, come Prince chiede più volte, di «abbassare le luci» e lasciar parlare la musica, da Cream fino a Joy in the repetition, rimanendo nel presente giusto qualche minuto (Black sweat e Lolita sono del nuovo ciddì 3121) e poi scavallando indietro fino ai tempi di Parade ossia l’86 (Anotherloverholenyohead e la superba Kiss) oppure l’87, quando gli americani si trovarono riassunti in un’unico suono, il suo, tradizionale eppure nuovo, lontano dalla normalità come da Minneapolis a Chicago, otto ore filate sulla highway. Abbassate le luci, c’è Purple rain (mescolata a Let’s go crazy). Sul piccolo palco, quasi invisibile laggiù, Prince la dilata, la coccola, impenna la voce, pulitissima, e chiama la chitarra, poi la maltratta, la domina in un assolo infuriato, pura scuola rhythm and blues, passando attraverso tutte le sfumature dell’anima (e infatti lui, vezzoso, sfoggia tante Fender Stratocaster quante le tinte dell’arcobaleno). C’è gente che balla, scioltissima.

Molti sono fissi, qualcuno scatena il suo cellulare, Megan Gale muove la testa a tempo di musica, 0Micaela Ramazzotti anche, Daria Bignardi è con Luca Sofri, Franca Sozzani, Benedetta Mazzini, Victoria Silvstedt, Paola e Chiara, Beatrice Borromeo applaudono per tutto il concerto trasformato in un rito che galleggia nell’aria anche quando le luci si riaccendono e lui, Prince, se ne torna nel suo mondo tra parentesi (ma è partito solo il mattino dopo, volo diretto).

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