Politica

Processato perché la fidanzata s’è uccisa

Giovanni Falconieri

da Torino

Quando il corpo senza vita della povera Francesca venne scoperto in un'angusta mansarda di corso San Maurizio, a Torino, medici e poliziotti liquidarono il caso come un «banale» suicidio. L'unico aspetto interessante della vicenda, se così si può dire, era costituito dal fatto che la sfortunata ragazza fosse morta da cinque giorni.
Era il febbraio 2003. Francesca aveva preso una corda, l'aveva legata alla porta d'ingresso del suo piccolo alloggio al quarto piano e come ultimo gesto aveva dato un calcio alla sedia. A scoprire il corpo era stato l'ex fidanzato Livio. Dopo essere stato indagato ora dovrà difendersi dall'accusa di istigazione al suicidio, un capo d'imputazione quanto mai insolito per il quale è prevista, in caso di condanna, una pena fino a 12 anni di carcere. Il processo è già cominciato, a Torino c'è un solo precedente e risale agli anni Ottanta.
È stato un lavoro d'indagine certosino quello che ha consentito di far venire alla luce circostanze e dettagli nascosti di questa macabra storia. Prima di archiviare il caso come suicidio e di chiudere per sempre in un cassetto della Procura il fascicolo d'inchiesta, il pubblico ministero Anna Maria Baldelli ha infatti provato con estrema pazienza a ridisegnare i passaggi della relazione che la vittima, Francesca Piccinelli, 33 anni, aveva intrecciato con Livio Bagarini, di sei anni più giovane.
Francesca e Livio si incontrano per la prima volta nel lontano 2001, si piacciono e cominciano a frequentarsi. Lei ha 31 anni, brava ragazza, studentessa iscritta alla facoltà di filosofia; lui è senza lavoro e con problemi legati alla tossicodipendenza. Francesca è fidanzata da anni e ha intenzione di sposarsi, Livio è single. Il feeling fra i due aumenta ogni giorno di più, tanto da convincere Francesca a liberarsi del suo «storico» fidanzato. Livio, però, è un violento. Costringe la povera Francesca a subire e a sopportare soprusi e angherie di ogni tipo, insulti, minacce, percosse. Infine, la droga. La convince a provare il piacere effimero degli stupefacenti, lei cede e finisce intrappolata nella rete della droga. Poi in cura al Servizio tossicodipendenze.
La vita di Francesca va a rotoli, gli studi pure. La donna capisce che è giunto il momento di interrompere la tormentata relazione iniziata con quel ragazzo più giovane di lei di sei anni e conosciuto quasi per caso. Ma non ci riesce.
Francesca cerca di convincere Livio ad andarsene, a lasciarla in pace, a uscire dalla sua vita. La ragazza capisce di aver sbagliato tutto, di aver commesso una serie incredibile di errori da quando lo ha conosciuto. Si vergogna terribilmente per quello che ha fatto, per come ha consentito che la propria vita andasse a rotoli. Prova a uscire dall'incubo in cui è piombata. Ma è tutto inutile. Ogni suo tentativo cade nel vuoto, tutte le sue suppliche restano inascoltate. Ormai è sola di fronte ai suoi spettri e a quella droga che l’ha minata anche nell’anima. Francesca Piccinelli si impicca in casa il 12 febbraio 2003, il suo corpo viene recuperato cinque giorni più tardi da Livio Bagarini. L'uomo racconta ai poliziotti che con Francesca si era lasciato da poco meno di due settimane e che lui era andato a trovarla perché insospettito dal fatto che la ragazza non rispondesse più alle sue chiamate.
Il fascicolo sulla morte di Francesca approda in Procura, il magistrato che si occupa del caso affida alla psicologa Loredana Gallo il compito di vagliare aspetti ed elementi legati alla personalità e al carattere della vittima. E il medico conclude che proprio lo stato di sudditanza e dipendenza nei confronti del fidanzato avrebbe spinto Francesca a togliersi la vita.

Meglio il suicidio che una vita d'inferno.

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