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Prodi in Egitto frena sulle truppe Onu a Gaza

Laura Cesaretti

nostro inviato a Il Cairo

La crisi palestinese e quella libanese finiscono naturalmente al centro dell'incontro tra Romano Prodi e il raìs d'Egitto Mubarak. La visita al Cairo è la nuova tappa nordafricana del tour di un premier che pare sempre più deciso a muoversi da protagonista nella conduzione della politica estera italiana, e a non lasciare tutta la ribalta a quello che dai sondaggi risulta essere il più «popolare» ministro del suo governo, Massimo D'Alema. E Prodi parla più alla platea italiana che a quella internazionale quando insiste nel rivendicare la «grande differenza» con cui lui e il suo governo si stanno muovendo, rispetto al quinquennio berlusconiano, con gli interlocutori dell'infuocato scacchiere mediorientale. «Le nostre orecchie sono sempre pronte all'ascolto e la nostra bocca al dialogo», dice, innanzitutto verso interlocutori ad alto rischio come la Siria e soprattutto l'Iran. Che il dialogo porti qualche frutto è ancora tutto da vedere, e lui stesso riconosce che «non c'è ancora nessun progresso concreto», ma ci tiene a sottolineare che gli scambi di messi e lettere con Ahmadinejad segnano una novità: «Prima c'era solo ostilità». Mentre «senza dialogo non si trovano soluzioni».
Con Mubarak c'è «forte sintonia», spiega Prodi nella conferenza stampa congiunta al termine dei colloqui, sulla necessità di rilanciare il dialogo tra Israele e i palestinesi. E l'Egitto, rivela,«sta lavorando per la liberazione del caporale israeliano Shalit». Ma l'iniziativa lanciata da Spagna, Francia e Italia non è sufficiente, riconosce il premier italiano: «C'è la necessità di allargarla ad altri partner europei», a cominciare dalla Gran Bretagna (oltre che dalla Germania). Che evidentemente è considerata un interlocutore più affidabile da Gerusalemme. Ma «servono atti concreti» per avviare il confronto «ristabilendo la fiducia tra le parti» e preparare la strada ad una per ora solo vagheggiata conferenza di pace. Cominciando da Gaza: «Cessate il fuoco, riapertura e monitoraggio dei confini e aiuti alle popolazioni» sono i «primi punti fattibili di collaborazione».
Ma Prodi sembra frenare un po' rispetto a D'Alema nell'ipotizzare una forza di interposizione internazionale a Gaza, caldeggiata dal nostro ministro degli Esteri: «Ci sono già osservatori ai confini di Gaza, e trasformarli in una struttura che garantisca una vita normale in quella zona è importante. Lo riteniamo anche possibile - nota il premier - ma ci vuole tempo e lavoro, perché tutti la accettino». Insomma, senza il pieno consenso di Israele non si può imporre un intervento di tale portata. E Mubarak è ancora più cauto e più chiaro di lui sulla necessità di rispettare le ragioni di Gerusalemme: «Le forze di interposizione possono arrivare solo dopo un accordo di pace, oppure verranno considerate forze combattenti, e sarebbe inaccettabile», scandisce il raìs. Anche perché, nota, se Israele apre al dialogo e poi «parte un razzo contro di loro, la crisi inevitabilmente si riaccende». E Prodi interviene per precisare che è sulla stessa linea: «La chiave della buona riuscita della missione internazionale in Libano è stato l'accordo di tutte le parti in causa: senza, le conseguenze saranno tensioni ancora maggiori».
Quanto al Libano, Prodi e Mubarak sono in allarme per la crisi interna e concordi nell'indicare la necessità di «dare tutto il sostegno per rafforzare il governo Siniora» come unico argine possibile alla degenerazione del conflitto, e mandano un altolà alle trame di Damasco e Teheran: «Nessuna evoluzione può trasformarsi in esercizi di destabilizzazione maturati da altri interessi che non siano quelli del Libano», dice il premier italiano. «Su questo punto ho chiesto la collaborazione di Siria e Iran per un atteggiamento serio e responsabile».

E Mubarak avverte Hezbollah: «Invito i libanesi a una pausa di riflessione, perché se continua lo scontro il risultato sarà solo la distruzione del Libano».

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