Ha ribaltato le sorti del conflitto iracheno, ha trasformato lo spettro di un nuovo Vietnam in una partita tutta da giocare, ha inventato la surge, la grande rimonta e in un solo anno ha conquistato non solo lAmerica, ma anche il cuore e le menti degli iracheni. Lui è il generale David Petraeus, ma a Hornwell, il paesino sullHudson dove venne al mondo 55 anni fa, lo chiamavano peaches, il peschino, il ragazzino senza peli sulle gote. Lo sbarbato ha, già allora, idee molto chiare. A West Point - ricordano - guarda sempre al sodo «nello sport, nello studio e nella vita».
Non a caso il primo passo della sua carriera è il matrimonio con Holly Knowlton, figlia del generale responsabile dellaccademia. Ma ambizione, lucidità e capacità vanno, nel suo caso, sempre al passo. Lo dimostra anche nella rovente primavera irachena del 2003, dopo 33 anni passati a macinare promozioni tra comandi di fanteria, aule universitarie e uffici del Pentagono. Mentre guida la 101ª divisione aviotrasportata tra le rovine di Karbala, Hilla e Najaf, mentre trascina i suoi uomini di vittoria in vittoria rivolge a giornalisti e sottoposti un unico inquietante interrogativo. «Ditemi come andrà a finire». Già intuisce che negli ingranaggi di quel trionfo qualcosa non gira bene.
Sui mancati successi e sulle loro conseguenze ha fondato la propria carriera di generale illuminato, di militarista avveduto e di pacato neo conservatore. La sua laurea in relazioni internazionali alluniversità di Princeton è tutta incentrata sullo studio della débâcle vietnamita, sulle sue cause e sulle conseguenze per la politica statunitense. Gli ci vuol poco, dunque, per accorgersi che in Irak si rischiano gli stessi guai. Nel maggio 2003 gli affidano il comando di Mosul e lui punta innanzitutto a conquistare i cuori e le menti degli sconfitti. Arruola i capi tribù sunniti, investe tutto nella ricostruzione della città e nella riapertura delluniversità, distribuisce armi e divise ai comandanti della polizia e alle milizie più fedeli. Mette a punto, insomma, la ricetta che gli consentirà, quattro anni dopo, di costruire una fitta rete di alleanze con i clan sunniti e stringere la rete intorno ad Al Qaida. Quando il proconsole Paul Bremer gli chiede il perché di tante spese risponde con una frase diventata il suo motto: «I soldi qui sono come le munizioni».
Il soprannome di Re David affibbiatogli dagli iracheni riassume, invece, lambizione e la voglia di fare, con lindiscussa autorità di un generale sempre pronto a impartire lezioni di strategia, ma anche a ispezionare campi di battaglia o scuole distrutte. Pensiero e azione, cultura del fisico e disciplina della mente sono la sua impronta.
Nel 2006 si circonda di un nugolo di giovani e brillanti ufficiali super laureati, li forma e li porta a Bagdad. I giornali li liquidano come i Petraeus boys. Lui ci costruisce sopra una catena di comando che potrebbe in futuro portarlo alla Casa Bianca. Ma ancora oggi se qualcuno chiede quante flessioni riesca a inanellare il generale risponde immancabilmente «una più di te». Poi si butta a terra e lo dimostra.
Quella delle flessioni è, del resto, la sua più riconosciuta fissazione.
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