Sul tavolo del governo piombano in poche ore il furore di un Prc umiliato che reclama la «verifica», la delusione dei socialisti che minacciano «mani libere» (e hanno tre senatori), nonché la necessità di fare marcia indietro sulle modifiche al welfare avallate dal governo.
Ma per Prodi è il risultato quello che conta: il governo caverà i piedi dallintricato pasticcio del welfare senza danni irreparabili. La sinistra lo accusa di aver ceduto alle pressioni di Confindustria e ai «ricatti» di Dini, ma la fiducia passerà senza scosse. E il governo archivierà a fine anno una partita in cui era entrato sapendo di giocarsi losso del collo.
Rifondazione incassa una sconfitta bruciante: dei suoi emendamenti non resta nulla. Ma il premier aveva due buoni motivi per essere certo che il pericolo non sarebbe venuto da quella parte: una bocciatura del ddl farebbe entrare in vigore a gennaio lo «scalone» pensionistico, e il Prc non può permetterlo: «Saremmo linciati dai nostri elettori». Né può permettersi una crisi di governo, col rischio di andare dritti a un voto anticipato che provocherebbe il fallimento della Cosa rossa e (visti i sondaggi) una batosta elettorale. Ora dunque Rifondazione ha le mani legate. Ma al suo interno monta il malessere, come dimostra la spaccatura di ieri nel gruppo parlamentare.
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