La moschea cittadina, per i fedeli dellislam, è una sorta di miraggio. E le rivelazioni intorno allindottrinamento dei giovani musulmani lo fanno svanire di nuovo.
I musulmani residenti a Milano sono molti, decine di migliaia, e da anni chiedono un luogo decoroso e agibile in cui pregare e professare la loro fede. Ma appena vedono avvicinarsi la concreta possibilità di soddisfare questaspirazione, i centri islamici assistono al suo dissolvimento. Quasi sempre per responsabilità addebitabili ai loro dirigenti.
In teoria nessuno nega il diritto dei musulmani (costituzionalmente riconosciuto) di avere un luogo di culto. Nessuno - neanche le forze politiche più legate alla tradizione cristiana - ha da eccepire qualcosa su questo. Semmai è sulle scelte concrete che la politica discute: uno o più luoghi di culto? E poi, dove? In quale quartiere? In realtà quando si passa a discutere di soluzioni concrete le divisioni si rivelano meno gravi di quel che appaiono dalle posizioni di principio. In tal senso è esemplare la vicenda legata alle posizioni dellarcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, che ha suscitato tante reazioni con il suo appello a favore della moschea, prima di precisare che non intendeva affatto una moschea in senso stretto, ma un luogo di culto. Dunque non un edificio con tanto di minareto, con ciò che comporta da un punto di vista simbolico. Una posizione che, a veder bene, non è molto distante da quella degli amministratori e locali e dei politici, di ogni colore essi siano.
Il problema per i musulmani è che la cronaca - a volte la cronaca nera - a porre i veti davvero insormontabili alla loro aspirazione.
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