Proporre ai cittadini verde e aria pulita: il plebiscito dell’ovvio

di Cristiano Gatti

Clamoroso: i milanesi dicono chiaramente di volere una città meno inquinata, più verde, più pulita, più umana. È pazzesco: fino all’altro giorno pensavo che sognassero una Milano gasata, cementificata, caotica e disumana. Un sesto referendum purtroppo non era previsto, ma risulta da un paio di sondaggi che addirittura questi imprevedibili milanesi siano anche a favore del beltempo, del benessere, della pace e della serenità. Vorrebbero persino che anziani e bambini non soffrissero più. Possiamo dirlo, a urne chiuse e svuotate? Questa dei referendum consultivi sulla felicità è una questione che andrebbe discussa al netto di tutte le demagogie e di tutti i populismi. Se ne fossimo ancora capaci, dovremmo riconoscere che l’operazione urne sui temi della città vivibile è certamente un bell’esercizio di marketing sociale, un grossolano spottone per strappare qualche applauso, ma oggettivamente è lontanissima da una lucida e sensata concezione del bene comune. È persino elementare - ma forse non è mai superfluo sottolinearlo tre volte - come questo non sia un discorso contro i referendum. Il referendum non c’entra nulla. Il referendum in sé resta uno strumento nobilissimo, un momento di civiltà alta che riavvicina la gente comune a quel valore gaberiano, ma universale, della partecipazione. Però c'è un modo feroce di umiliare e svilire questo strumento così importante: coprendolo di ridicolo. Senza offesa per nessuno, ma al limite anche offendendo qualcuno: i cinque quesiti dell’ultimo week-end sono veramente da asilo Mariuccia. Forse sta in piedi, con molte stampelle, l’idea di chiedere ai cittadini un parere chiaro sull'utilità dell’Ecopass, prima ancora della sua estensione. Ma sul resto siamo davvero nella retorica più ruffiana: dimmi, signora ottantaduenne che siedi tutti i giorni sulla panchina del Parco Sempione, ti andrebbe qualche alberello in più? E tu, giovane ragazzo che pedali lungo Corso Buenos Aires, cosa ne diresti di ridurre l’inquinamento? E il grande parco del dopo-Expo: su la mano chi non vuole mantenerlo per l’eternità, consegnandolo all'edificabilità di grattacieli e ipermercati.
Via, ce n’era bisogno? Ma davvero la politica locale è in condizioni così sgangherate, da doversi gonfiare artificialmente con questi ormoni di consenso a buon mercato?
Fateci capire, se possibile. Questi referendum sono promossi da un gruppo che comprende un ex assessore della giunta Moratti, un verde e un radicale. Questi referendum sono appoggiati dalla maggioranza e dalla minoranza. Questi referendum sono simpaticamente sostenuti dall’ex sindaco Moratti e dal nuovo sindaco Pisapia. Tutti schieratissimi dalla stessa parte: città meno inquinata, più verde, più vivibile, e bla-bla, e bla-bla, e bla-bla. Bisognava proprio andare alle urne, per scoprire di essere completamente d’accordo su tutto. I clamorosi risultati? Dopo il conteggio dei voti ci ritroviamo fra le mani un entusiasmante plebiscito dell’ovvietà, che non sposta di una virgola quanto già tutti sapevano prima.

Vogliono tutti vivere in un luogo bello, pulito, ordinato. Perfetto, ci siamo tolti la voglia, ce lo siamo detti anche per iscritto. Sui cieli di Milano aleggia il sogno collettivo di una città migliore, diversa, umana. Ma provare a farla, una volta?

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