"Proposta indecente" di Casini: Albertini candidato sindaco ma col centrosinistra

Le avances dirette all’ex primo cittadino (oggi europarlamentare): il capo dell’Udc vuole spingerlo a tornare in pista contro la Moratti

Gabriele Albertini candidato sindaco di Milano. E fin qui non ci sarebbe nulla di particolarmente strano. Per il centrosinistra. E qui la cosa si fa più intrigante. Anche perché l’ipotesi non è frutto di fantasia senza freno. Perché, come si sa, la realtà molto spesso va molto al di là dell’immaginazione. E di immaginazione, per vedere Albertini alla guida di una coalizione anti-Berlusconi, ce ne vuole parecchia. La realtà, dunque. E i fatti. Che sono tutti in una telefonata. Non intercettata, ma comunque raccontata davanti a più testimoni. A chiamare è Pier Ferdinando Casini che, dopo un breve preambolo (Albertini, si sa, non è uomo da troppi convenevoli), arriva al dunque. Con la proposta: una candidatura nuova di zecca per l’anno prossimo. A Palazzo Marino, come indipendente e con l’appoggio dell’Udc. E, magari, anche dell’intero centrosinistra. La risposta? Di certo c’è che Albertini si sia sentito piuttosto lusingato dall’offerta. Poi si vedrà.
Sicuro è che il derby con Letizia Moratti sarebbe appassionante. Finalmente, a Milano, una sfida tra numeri uno. Mica quei candidati messi in pista dalla sinistra senza nessuna convinzione. Vittime già designate allo schianto, ancor prima di cominciare la corsa come è appena stato per Filippo Penati, triturato da Roberto Formigoni e lasciato a meno 23 punti. O come fu per Riccardo Sarfatti o per l’ex prefetto Bruno Ferrante che, dopo il frontale con la Moratti, lasciò la politica in tutta fretta.
Ecco perché l’ipotesi, accarezzata da un vecchio volpone della politica come «Pierferdy» Casini, ha un suo fascino. L’antipatia dell’ex «amministratore di condominio» per la Moratti è nota. «Il sindaco? Ha commesso molti errori, ma è troppo blasonata per essere esclusa» è il titolo di un’intervista al Corriere di una settimana fa che campeggia nel sito personale di Albertini. Come bene in vista nella sua pagina personale è quel «Quanti errori, cara Letizia. Io mi sarei già dimesso», stampato a titoli cubitali nel Riformista del 24 marzo. Quando ancora non era arrivata la benedizione di Berlusconi alla ricandidatura di lady Letizia. Ed è innegabile che, nonostante le dichiarazioni ufficiali, a quel posto Albertini tenesse. Sempre più numerose, anche in quest’ultima campagna elettorale, le sue uscite in appoggio ai candidati del Pdl. Come un segugio di razza che fiuta la preda. Un «duro che si spezza, ma non si piega e tanto meno si impiega», diceva di lui nel 2001 Indro Montanelli. Che certo non l’avrebbe immaginato a trascinarsi nella enorme e felpata pancia del Parlamento europeo a discuter del calibro delle zucchine. Un cimitero degli elefanti, nonostante a lui sia stata assegnata la richiestissima presidenza della commissione Affari esteri. Incarico prestigioso, ma non per lui che all’ultima corsa seppe raccogliere 144.246 preferenze. Che ne fecero il più votato di Fi dopo Berlusconi e che lui fece marchiare a fuoco in una targa che pose orgoglioso nel suo studio a Palazzo Marino. Dove ora Casini lo vuol riportare. Nonostante la sua biografia. Ma, del resto, il centrosinistra da un’eternità in astinenza da vittorie, è a caccia di un nome che ben poco abbia a che fare con la sua tradizione.

L’oncologo e re dei salotti Umberto Veronesi, i direttori di quotidiani Ferruccio De Bortoli e Mario Calabresi o Umberto, il più giovane dei tre figli di Giorgio Ambrosoli. Scorciatoia per scorciatoia, ha pensato Casini, perché non ri-chiamare Albertini?

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