Proposta per l’Abruzzo Il permesso di soggiorno ai clandestini che aiutano

Quella che segue è una proposta senz'altro discutibile (speriamo, anzi, che provochi un dibattito), ma basata su premesse indiscutibili. Per illustrarla, conviene perciò partire da queste ultime.
1) In Italia sono presenti oggi da mezzo milione a un milione di immigrati irregolari, di cui appare molto difficile, se non proprio impossibile, sbarazzarsi. Una parte considerevole di questi clandestini lavora in nero nel settore dell'edilizia: oltre ai semplici manovali, ci sono anche operai più esperti, provenienti sia dall'Est Europa sia dall'Africa. Secondo una vox populi molto diffusa, Torino non sarebbe mai riuscita a completare le opere necessarie all'Olimpiade invernale senza l'intervento di un buon numero di clandestini romeni (allora il Paese non faceva ancora parte della Ue); e anche oggi, senza l'apporto di questi lavoratori, spesso soggetti a un regime di caporalato, molte imprese sarebbero in difficoltà.
2) Una ricostruzione veloce dell'Aquila e dei centri limitrofi, quale voluta dal governo, richiederà l'apertura contemporanea di molti cantieri e di conseguenza l'impiego di moltissima manodopera, specializzata e no, che certamente non sarà possibile reperire sul posto. Questi lavoratori dovranno per forza affrontare notevoli disagi, risiedere in strutture provvisorie, essere pronti a prestazioni straordinarie: insomma, operare in condizioni che, nonostante la crisi, non attireranno molti italiani da altre regioni.
3) Con una grande domanda di manodopera e un’offerta relativamente scarsa, c'è il rischio che i costi della ricostruzione lievitino oltre misura, stile Belice o Irpinia. È perciò necessario studiare fin da ora il modo di contenerli.
Premesso tutto ciò, ecco una possibile soluzione: offriamo ai clandestini che abbiano le competenze (e le esperienze) necessarie la regolarizzazione della loro posizione, e magari anche l'ambito permesso di soggiorno di lungo periodo che si ottiene solo dopo cinque anni di permanenza regolare, in cambio dell'impegno a lavorare alla ricostruzione dell'Abruzzo fino al compimento dell'opera. Bisognerebbe naturalmente operare una selezione preventiva e fare ai prescelti contratti regolari, rispettosi dei minimi sindacali, con tutti i relativi benefici, ma con la clausola che, se venissero meno al loro impegno, tornerebbero automaticamente al vecchio status di clandestini. Sarebbero anche necessari frequenti e rigorosi controlli sul rispetto del patto, sia da parte dei lavoratori stessi, sia, per quanto le riguarda, delle imprese che dovranno impiegarli.
Il progetto, come è ovvio, presenta anche rischi e inconvenienti: per esempio, quello di trasformare L'Aquila, probabilmente in maniera permanente, nella provincia italiana con il più alto tasso di residenti stranieri, perché molti di coloro che accettassero l'offerta potrebbero decidere di restare in zona anche a lavori finiti, magari stabilendosi nei paesi che si stavano gradualmente spopolando. Ma esso permette anche di prendere i due classici piccioni con una fava: da un lato, compiere una sanatoria «virtuosa», cioè regolarizzare senza le complesse procedure della Bossi-Fini clandestini che hanno voglia di lavorare e dare un contributo all'economia nazionale; dall'altro, garantirsi la presenza di un numero sufficiente di braccia per un'opera che deve essere portata a termine nel più breve tempo possibile.

Non so se ci siano precedenti all'estero nel campo civile: certo, possiamo richiamarci all'esempio degli Stati Uniti, che offrono non solo la famosa carta verde, ma perfino un accesso più rapido alla cittadinanza a quegli immigrati che accettino di arruolarsi per un certo periodo nelle Forze armate; e ai soliti bastian contrari che denunceranno il patto come un ricatto al povero migrante, o come una forma di moderna servitù della gleba, potremo sempre rispondere che noi, i nostri clandestini li destiniamo all'Aquila e non a Bagdad.

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