A pochi giorni dal settantesimo compleanno, che cade l1 dicembre, Woody Allen confessa al Corriere di non essere «mai stato felice per otto ore consecutive». È già molto. Beato lui. Si sa, il regista-attore americano pratica lunderstatement: infatti dice che la vecchiaia non regala saggezza ma sordità e tristezza, salva solo le canzoni di Cole Porter e (freudianamente) listinto materno, ammette di divertirsi ancora con il sesso, anche se ci vede meno bene. Lintervista è bella e spigliata, ma qualcosa non torna nellimmagine che Allen trasmette di sé. Sempre più liso e stropicciato, come le sue mitiche giacche di tweed su pantaloni di velluto, incarna ormai con una certa stucchevolezza il ruolo dellartista «incompreso» in patria, che poi per lui è New York. Infatti i due ultimi film li ha girati a Londra, e quasi non passa giorno che non sia da queste parti, per una vacanza a Venezia o un concertino jazz a Roma e Milano.
Come clarinettista, Pupi Avati e Renzo Arbore, al confronto, fanno la figura di Benny Goodman; ma volete mettere il fascino che esercita su noi europei un ebreo di Manhattan col complesso di Edipo, il jazz nelle vene e la battuta pronta, meglio se un po sconcia? Al pari di Conte o Wenders, Allen fa sentire intelligenti gli spettatori: che perlopiù votano a sinistra, frequentano i giri giusti e non si perdono una prémière di grido. Poi, magari, non vanno più a vedere i suoi film, perché tutti uguali e indistinguibili. Però, se si parla di donne, risponderanno di sicuro: «Provo un intenso desiderio di tornare nellutero. Di chiunque».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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