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«Prove schiaccianti, il caso è chiuso»

«Il caso è chiuso». Il colonnello Luciano Garofano, comandante del Ris dei Carabinieri, ritiene che il lavoro suo e dei suoi uomini sul caso Donegani sia già concluso. Certo, mancano ancora i rilievi sull’automobile di Guglielmo Gatti, ma a quanto pare gli elementi raccolti dagli inquirenti sono già più che sufficienti per incastrare il nipote di Aldo e Luisa, massacrati per un motivo ancora ignoto. Un movente che pare non interessare nemmeno al colonnello Garofano, che al Giornale dice: «Non so nulla riguardo i presunti motivi che avrebbero spinto Gatti a trucidare gli zii e nemmeno mi interessa saperlo. Io mi limito a svolgere il mio lavoro, cercando di astrarmi dal resto delle indagini per non essere influenzato».
Subito dopo il ritrovamento dei cadaveri fatti a pezzi e l’ispezione nel garage della villetta di via Ugolini il colonnello aveva dichiarato soddisfatto: «Ci ha premiato la tempestività. Abbiamo lavorato per tre giorni senza sosta, perché sappiamo bene che il segreto della risoluzione di casi gravi come questo sta nella precisione e nell'immediatezza degli interventi». Riguardo al presunto assassino non si è mai scomposto più di tanto: «Il profilo del killer? È connotato da soggettività. Noi invece ci basiamo su dati e prove concrete e oggettive». Seguiranno nuove verifiche, probabilmente. Ma gli elementi raccolti parlano già da soli.
E Garofano non risparmia una ferma risposta all’avvocato difensore di Gatti che sostiene di non aver visto nessuna traccia di sangue nel box «mattatoio»: «Mi chiedo come sia possibile, visto che era presente nel momento dell’esame del Luminol e ha visto insieme a noi l’accecante luce blu che significava un’unica cosa: sangue.

Sangue ovunque».

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