Gianandrea Zagato
Avvertenza: nellIllusione di un colore è inutile cercar traccia della transumanza di Roberto Caputo da Forza Italia alla Margherita. Per quello ci sono le cronache politiche dei giornali, le dichiarazioni trionfanti di Francesco Rutelli e quelle comunque indifferenti degli azzurri.
Ma se volete scoprire il futuro del consigliere provinciale, be basta rileggere una sua poesia che già dà una traccia del dopo Margherita: «Mi perdo e mi ritrovo, unonda dopo laltra, scontro continuo di via, illusioni di certezze non avute. Essere un manichino». Messaggio inequivocabile di chi fa sapere di aver solo una certezza, «si accendono le stelle, la notte cè». Il resto? Sta nelle poesie che Caputo pubblica per i tipi di LietoColle e che, sorpresa, sono nate sui banchi del consiglio provinciale, «durante noiosissime sedute dedicate al bilancio o quisquilie regolamentari».
Un centinaio di liriche dove non è impresa impossibile scoprire a chi sono dedicate, come in Democrazia - «democrazia, bello stornello. Tutti cantanti, note stonate, orchestra suadente, chitarre non accordate. Piano forte, e il maestro la portò via, Democrazia» - scritta per protestare contro linutilità della Provincia. Oppure in quella rima dal titolo «Milano» dove non bisogna essere Einstein per dare un nome, un cognome e un volto all«austera Signora, che volta le spalle ai camini e dimentica le tute blu».
Versi dove, secondo lex sovrintendente scaligero Carlo Fontana «poetica e pratica politica vengono inevitabilmente a incontrarsi». Colloqui non con degli elettori ma con i politici, gli ex del sempre insoddisfatto politico Caputo.