«Ci sono due strade che portano al castello di Lunghezza, lo storico monumento situato nel Municipio VIII, altresì noto come «Municipio delle torri»: la prima, semisconosciuta, tracciata da vicende realmente accadute, e laltra, divenuta nel tempo quella ufficiale, frutto di una leggenda stando alla quale nella seconda metà dellOttocento una porzione del maniero fu adibita a clinica di convalescenza da parte del celebre medico e scrittore svedese Axel Munthe». È quanto sostiene Roberta Graziano, scrittrice che da anni si occupa di Lunghezza e del suo castello, e che sull'argomento ha svolto numerose ricerche. «Axel Munthe non ha mai messo piede nel castello - afferma brandendo a riprova i documenti che ha rinvenuto spulciando larchivio catastale e non solo -. Si tratta di uninvenzione del figlio Malcolm che ha acquistato il castello nel 1962 e in seguito ha messo in giro questa storia per conferire maggiore lustro alla fortezza, dandola perfino a bere a personaggi del calibro di Jacqueline Kennedy e Carlo dInghilterra, suoi ospiti in passato». A dare ragione alla scrittrice cè anche la biografia di Axel Munthe En Osalig Ande scritta da Benj Jangfeldt, dove non vi è traccia della permanenza di Munthe a Lunghezza. Finora però nessuno ha voluto ascoltarla. Tanto è che sul sito ufficiale del castello, nonché nella sezione a esso dedicato nella pagina web del Municipio VIII, viene riportata la storia che lillustre medico svedese avrebbe accolto i malati di colera di Napoli intorno al 1880.
«Quel che più mi fa rabbrividire - insiste la Graziano - è che pure il libro Storia, Antichità, Monumenti di Rita Pomponio, finanziato dalla Provincia e dalla Banca di credito cooperativo di Roma, abbia imboccato la strada della legenda, quando bastava eseguire un lavoro di ricerca per scoprire la verità».
Il castello nel 1872 è stato venduto dagli Strozzi ai Grazioli.
Al fine di far emergere la verità la Graziano racconta di essersi anche rivolta al Comune. «A questo punto - commenta amara - mi chiedo a chi faccia comodo questa leggenda».
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