Provincia, la vera sfida non si gioca in televisione

Qualcuno avvisi Filippo Penati and company che i milanesi non ne possono più della sua invadenza sul piccolo schermo. E avvertitelo pure che i cronisti sono ormai al limite della sopportazione per le quotidiane note del zelante portavoce dell’inquilino uscente di Palazzo Isimbardi, che al candidato del centrodestra lancia e rilancia l’invito al confronto televisivo. Se ne faccia una ragione, presidente Penati: Guido Podestà ha scelto di girare tra piazze e bancarelle dei mercati piuttosto che peregrinare tra salotti tv. È tra i milanesi che Podestà spiega in dettaglio ciò che «Penati non ha fatto in cinque anni», che «Penati ha fatto, poco, speculazioni finanziarie incluse».
Penati impossibilitato a raccontare quel che non c’è della «sua» Provincia, dunque, continua ad insistere e litigare ogni giorno sul confronto che non c’è, accusando perfino Podestà di «accampare scuse per non mettere i milanesi in condizione di vedere qual è il programma migliore per la Provincia». Non finisce più di sorprenderci l’ex venditore di polizze Unipol: mentre le sue comparsate televisive si riversano sugli elettori come autopromozione di lusso travestita da informazione, lui, grida al complotto, al delitto di lesa democrazia perché il centrodestra non ci sta a giocare con le immagini e le fotografie ritoccate.
«Non c’è bisogna adesso di un vertice davanti alle telecamere» dicono dal Pdl ovvero «è inutile»: concetto chiaro ma chi non prova il minimo imbarazzo nello sfruttare le cariche istituzionali, be’ non può neppure comprenderlo. E, allora, per la gioia dei pasdaran della serie dell’inarrestabile blob penatiano, ecco spuntare perfino il coordinatore della sua campagna elettorale, Matteo Mauri, a reclamare un quarto d’ora davanti alle telecamere versus Podestà. Basta, please. La misura è stracolma.

Anche perché è il replay di un film già visto: anche a Ombretta Colli, nel 2004, fu chiesto un confronto tv per fuggire dall’incontro con gli elettori. Che, altrimenti detto, è la politica dell’immagine. Solo chiacchiere e distintivo.

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