Le provocatorie immagini di Cronenberg aprono il Festival

Esangue come un vampiro, gli occhi opachi come schegge di vetro satinato, David Cronenberg, il regista canadese meglio noto come il mago dell’horror venereo, dopo il tramonto si materializza al Palazzo delle Esposizioni per lanciare la mostra Chromosomes a lui dedicata. È la vera partenza del Festival di Roma e i flash dei fotografi accecano il venerato maestro dello spavento, che ha dedicato la propria opera d’artista multiforme a indagare la zona oscura dove la psiche malata si riverbera sulla patologia del corpo. Da La covata malefica (1979) a La mosca (1986), da eXistenZ (Orso d’argento a Berlino, 1999) a Crash (1996), infatti, non c’è un suo titolo che non rappresenti una mostruosità da dottor Caligari postmoderno. Così questo figlio d’una famiglia della media borghesia ebraica, malfermo sulle scarpe nere da passeggio, appare in corrispondenza perfetta con quanto lo circonda sui muri bianchi della galleria. Da dove pendono, montate su tela lucida, i fotogrammi dei suoi film più orrifici. Una vasca da bagno, colma a metà di urina evoca Duchamp; una mano d’uomo carezza, sensuale, la portiera ammaccata di un’automobile, come fosse una cavità femminile; un lombrico striscia verso un piede nudo, sul pavimento insanguinato d’una stanza e cosce, arti, petti umani fotografati nella luce cruda dello straniamento.
«Sono contento d’essere qui, nello stesso luogo in cui si ospita una mostra sugli Etruschi», sussurra l’autore, sceneggiatore e ora romanziere, visto che sta scrivendo un testo letterario, che gli servirà per il prossimo film, tutto da ideare. «Tutto il mio cinema è uno scavo psicologico nel passato. Anche se non pretendo che le mie opere durino quanto quelle etrusche», afferma colui che sembra abbia dato, sul grande schermo, la risposta più vicina a Beckett. Da laureato in Lettere (Università di Toronto) l’artista, nell’età matura, torna alla sua matrice primaria. «Traggo ispirazione dalla letteratura: volevo diventare romanziere e, del resto, i miei film danno spazio alla qualità verbale, alla parola», sottolinea lui. «Come ho scelto le immagini di questa mia mostra? Seguendo il mio istinto provocatorio. Le immagini dei miei film sono state tolte dal loro ambito cinematografico, perché suggerissero la più pura decontestualizzazione», spiega «il barone del sangue», i cui film claustrofobici animeranno la retrospettiva al PalaExpo (da oggi al 7 novembre).

Però Cronenberg avverte: «È meglio osservare i fotogrammi esposti, senza aver visto i miei film, che sono molto legati alla loro epoca: dagli anni Settanta ai Novanta, ho ricercato soltanto il potere evocativo dei dettagli, inquadrandoli in una capsula del tempo, che incorpora la mia sensibilità».

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