La provocazione del Meeting Apre col «Caligola» di Camus

Rimini Che ci fa il Caligola duro e folle di Albert Camus al Meeting di Rimini? Semplice: provoca, domanda, urla, uccide, strepita, desidera l’impossibile e alla fine si fa uccidere. In poche parole: lancia la sua sfida. Stasera tocca al capolavoro teatrale dello scrittore francese l’onore di inaugurare il trentunesimo Meeting di Rimini (che s’apre con il titolo: Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il Cuore), e lo farà con un impatto ruvido e provocatorio su un immenso palco reso essenziale da forme geometriche, dai pochi colori, dagli abiti marziali e da un enorme luna che rappresenta, anche fisicamente, il titolo del dramma, Caligola e la luna. Nella scelta di Otello Cenci, regista e produttore della tragedia, è la terza stesura del Caligola, quella del 1958, che viene portata in scena, il lavoro in cui s’è riconosciuto completamente Camus e che nella parabola dell’imperatore romano non incarna più l’Europa sotto il dominio nazista, bensì la domanda esistenziale ultima e ineludibile.
Sul palco passano vite e idolatrie, musicisti ed attori, omicidi e tradimenti, boia e comparse, consiglieri e amanti, coro e servitori, in un luogo atemporale che potrebbe essere l’oggi di ognuno. Qui svolge la sua drammatica follia il Caligola con le sembianze di Stefano Pesce, volto eccezionale finalmente liberato dal limite dei serial televisivi. Da tempo lo spettacolo inaugurale - che quest’anno «il Giornale» ha visto in anteprima - apre il Meeting e indica il suo percorso ideale: come mai quest’anno quelli di Cielle hanno scelto il Caligola per questa loro kermesse? «Il titolo del Meeting 2010, che pone a tema il desiderio di infinito del cuore umano, ci ha fatto concentrare su questo testo di forza inaudita», racconta Otello Cenci, che della tragedia del Premio Nobel francese è regista e produttore. «Caligola è imperatore e pur potendo ottenere tutto al solo gesto della mano, non è contento, non trova soddisfazione o felicità. Se ne rende conto di fronte alla morte della sorella-amante e imposta tutto il suo mondo affinché chiunque sia obbligato anche con la violenza a riconoscere che le cose non rispondono al desiderio infinito. La sfida di Camus è lanciare l’uomo contemporaneo davanti alla sproporzione: ognuno porta in sé un desiderio totale che si scontra con il dramma lacerante delle cose di ogni giorno che non rispondono. Una sfida insieme artistica e biografica, infatti lo spettacolo si apre con una frase presa dai diari dello stesso autore: «“Ho bisogno di scrivere cose che in parte mi sfuggono, ma che rappresentano appunto una prova di ciò che in me è più forte di me”. Era difficile trovare una migliore espressione del tema del Meeting di quest’anno». Una scelta implicitamente confermata anche da un passo di Luigi Giussani che, gran conoscitore della letteratura contemporanea, ebbe a scrivere «Caligola parla di «luna» o «felicità» o «immortalità». L’insaziabile non può che derivare da un inestinguibile. Un Destino di immortalità si segnala nella umana esperienza di insaziabilità».
Folle e spiritato, a volte assente, ma subito violento e desideroso di sangue, Stefano Pesce è un Caligola che turba, governando scena e pulsioni con un volto che l’enorme schermo posizionato a quinta del palco ridona istante dopo istante alla platea. Perché Stefano Pesce - celebre soprattutto per il pubblico della tivù - nelle vesti dell’imperatore folle? «Perché è un attore superbo con la faccia da pazzo», osserva ironicamente Cenci, «O forse perché, come ha detto Stefano stesso durante il nostro primo incontro all’inizio di della scorsa primavera, chi meglio di un romagnolo sa cosa è la pazzia del repentino cambiamento umore…».
Comunque sia, titolo, protagonista e tema calzano a pennello, ma è la messa in scena a dare il colpo di grazia, a convincere lo spettatore di questo immane dramma. È un Caligola stilisticamente violento e fascinoso, drastico e visionario, con un bianco e nero complessivo che contribuisce ad emozioni forti e non mediate, con quel suo desiderio della luna impossibile a realizzarsi eppure sempre evocato. «La scelta che abbiamo fatto segue le ultime indicazioni di Camus, che prediligeva l’atemporalità della sua opera. Così abbiamo puntato a non rappresentare il tutto in un periodo storico e in uno spazio geografico precisi. Esaltiamo invece l’elemento umano, il bianco e nero, gli spigoli, perché nel Caligola ogni passo del testo è una scelta, non ci sono morbidezze».
Negli anni scorsi sul palco dello spettacolo inaugurale del Meeting erano saliti il Miguel Manara di Oscar Milosz e i Cori da La Rocca di T.E.Eliot, quest’anno è la volta di Camus (celebrato così nel 50° anniversario dalla morte: l’autore di La peste e di Lo stato d’assedio è scomparso nel gennaio del 1960). Scontata la domanda finale: c’è un filo conduttore che unisce queste tre grandi opere? C’è una continuità tra le scelte del Meeting? Parola ancora a Otello Cenci: «Al Meeting di Rimini si parte sempre da un grido del cuore. E quindi anche gli spettacoli sono scelti per offrire testi capaci di grande provocazione, opere che possono smuovere l’umanità».

Compito impegnativo, in un agosto riminese annoiato e vacanziero, ma al Meeting sembrano abituati alle cose ardue. E in fin dei conti «smuovere le coscienze» non sarebbe anche uno dei fini dichiarati del teatro fin dai tempi di Sofocle?

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