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Psichiatri, il segreto non è un dogma «Dovere morale denunciare i pedofili»

Il paziente che ha confessato i suoi delitti al medico è stato recluso in una casa di cura

La confessione si ricava a ritroso. Lentamente, a fatica. Si scava, si avanza a piccoli passi. Pezzo dopo pezzo si cerca nel passato per scovare le radici del malessere. Si lavora giorno dopo giorno, seduta dopo seduta, fino a creare un legame di complicità, di fedeltà. Racconti, sogni, ricordi, perversioni, manie, ossessioni. E poi finalmente a galla tutto. Un giorno, seduto su quella stessa poltrona di pelle che risucchia, arriva la confessione del paziente. La più amara da sentire, la peggiore. Tremenda, torbida, meschina, vile. Il racconto si fa confuso, ansimante, cadono lacrime, sudore dalla fronte. Tremore della voce. Abuso su minori. Bambinette tra i 4 e i 7 anni. Lui, lo zio, ci «giocava». Alla più piccola toglieva anche il pannolino. Loro correvano piangendo dai loro genitori. Nessuno in famiglia riusciva a capire che quel ragazzo molestava le nipotine, nemmeno quando piangevano, nemmeno quando facevano i brutti sogni. Lo zio era malato e tutti in casa si erano abituati ai comportamenti strani di quel ragazzo con problemi psichici alle spalle. Poi un giorno quello zio malato ha avuto più lucidità di tutti e ha preso carta e penna. Con una lettera ha raccontato tutto al suo psichiatra. Nei dettagli ha spiegato la violenza, quegli impulsi irrefrenabili che lo dominavano ogni volta che stava con le bambine. La scelta dello psichiatra di Palermo crea il caso. Denuncia del paziente. Sciolto il segreto professionale, all’aria la fiducia stabilita durante centinaia di sedute. Il giovane viene arrestato e ricoverato. Fine delle violenze. Si apre il caso sul segreto professionale. Posizioni diverse e opposte. «Ampiamente legittima» la Società italiana di psichiatria, la Sip si affretta a difendere il medico. «Secondo il Codice deontologico che regola l’agire in campo medico - dice Mariano Bassi, presidente della Sip - la rivelazione di segreto professionale è legittimata se il medico vede nel comportamento, negli atteggiamenti e nelle parole del paziente una situazione che mette in grave pericolo la salute o la vita di terzi». Un’eccezione quindi più che ammessa in questo caso. Il medico doveva parlare, altrimenti le violenze sarebbero continuate, sotto gli occhi di una famiglia incapace di difendere i propri cuccioli.
Ma c’è chi al segreto professionale, al rispetto del codice deontologico non sacrificherebbe nulla. È una questione di fiducia tra il professionista e il cliente. Vale per avvocati e commercialisti. Vale per i preti e per i giornalisti. Vale per i dotti. «L’obbligo del medico è sempre quello di cura, non di denuncia. Io non l’avrei denunciato», dice Giacomo Milillo, segretario nazionale Fimmg, la Federazione dei medici di famiglia. «Il codice deontologico dei medici deve dare la garanzia a chiunque del primato della cura e dobbiamo ricordarci che questo caso di pedofilia si veniva a configurare come malattia».
Lo «zio» è stato arrestato, ma non sconterà la pena in carcere. Questa storia finisce in una casa di cura. Il paziente ha confessato la sua malattia. Il medico ha parlato.

Ora serve la cura.

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