da Palermo
Se cè una parola che meglio sintetizza la figura di Totò Cuffaro, sia in pubblico che in privato, questa è la fede. Una fede profonda, radicata e incrollabile. Nella religione e nel cattolicesimo, anzitutto. E poi in se stesso. È qui la chiave del suo successo. È qui la chiave dellenergia e della serenità che ha mostrato nei momenti più difficili della sua vita. Pochi certo ricordano la sua prima, improvvisata, apparizione sugli schermi nazionali: era il settembre del 91 e Michele Santoro e Maurizio Costanzo avevano organizzato una trasmissione sullimprenditore Libero Grassi, ucciso dalla mafia. Salvatore Cuffaro, allora giovanissimo, rosso in viso, in maniche di camicia, sudato, si lanciò in una difesa a oltranza dellex ministro Calogero Mannino, suo padre politico, allepoca accusato da un pentito. «È una volgare aggressione - gridò dalla platea del Teatro Biondo - alla migliore classe dirigente della Dc».
I conduttori del programma non lavevano mai visto prima e si chiedevano, un po sorpresi, chi fosse quel giovanotto che tanto si spendeva per lex ministro. Ma in Sicilia lo conoscevano già bene. Dal palco, Claudio Fava rispose: è «Salvatore Cuffaro, deputato regionale, delfino di Mannino». «Signor Puffaro? - lo apostrofò, dallo studio, Santoro - dica quello che deve dire, poi lasci parlare gli altri».
Lappellativo di «Totò vasa-vasa» («bacia-bacia») venne dopo. Espansivo, dotato di memoria di ferro, in grado di ricordare parentele lontane e patologie di ogni suo elettore, Cuffaro è solito salutare con due sonori baci sulla guancia il suo interlocutore, istituzionale e no. Una grande abilità comunicativa, la sua, che ha contribuito allo straordinario successo elettorale e che gli è valso la definizione di «portentosa macchina da voto». Il primo clamoroso exploit alle urne è del 91, quando, al suo esordio da candidato allArs, varca la soglia di palazzo dei Normanni con ben 79.970 voti.
Nato nel 1958 in provincia di Agrigento, a Raffadali, il paese del «gelato al pecorino», laureato in medicina, specializzato in radiologia, comincia la sua ascesa politica prima alluniversità, nelle liste cattoliche, poi al consiglio comunale della sua cittadina con la Dc. Nel 1990 il salto a palazzo delle Aquile, a Palermo: 20mila preferenze, poco meno dellallora compagno di partito Leoluca Orlando. Nel 1991 lArs e poi gli anni della débâcle di Mannino: «fu un dramma», raccontò Cuffaro in un libro. Nel 96 di nuovo al voto: 16mila preferenze nelle liste del Cdu lo portano alla guida dellassessorato allAgricoltura. Una roccaforte che Cuffaro mantiene anche quando a palazzo DOrleans arriva per la prima volta un diessino, Angelo Capodicasa, con una giunta di centrosinistra.
Nel 2001 la sfida con Leoluca Orlando, per la prima elezione diretta a presidente della Regione. Una vittoria schiacciante replicata nel 2006, quando travolge la candidata dellUnione Rita Borsellino, nonostante sia già sotto processo con laccusa di favoreggiamento aggravato alla mafia.
Sposato con Giacoma Chiarelli, anche lei medico, padre di due figli, Ida e Raffaele, citati mentre nellaula bunker di Pagliarelli aspettava la sentenza («sono qui perché loro lo hanno voluto»), religiosissimo, nel 2001, da governatore siciliano, affida lisola alla Madonna. E questestate, con un gruppo di parlamentari del suo partito, realizza un sogno: il cammino di Santiago de Compostela. Una foto lo ritrae con il bastone del pellegrino, sorridente, appena giunto alla meta. Un viaggio di preghiera per riflettere sulle sue vicende giudiziarie, cominciate nel giugno del 2003 con un avviso di garanzia nellambito dellinchiesta sulle talpe alla Dda.
La settimana scorsa la sentenza del processo che esclude laggravante mafiosa, il suo «conforto» personale e la conferenza stampa con dolci e cannoli inviati da un suo amico dinfanzia. «Mi sono limitato a togliere quel vassoio dal tavolo», ha ripetuto in questi giorni. Ma non è stato sufficiente a smorzare le polemiche.
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