MilanoI cori di unaltra epoca rimbombano nellaula bunker del carcere di San Vittore. Luigi Cerqua, presidente della prima Corte dassise del tribunale di Milano, ha appena letto il dispositivo della sentenza con cui condanna 14 dei 17 imputati nel processo alle cosiddette «nuove Brigate rosse». Pugni chiusi nelle gabbie e sulle gradinate che ospitano il pubblico. È il congedo politico tra chi resta in carcere e chi - da un anno e mezzo - segue ogni udienza del processo. Poi, gli slogan. «Contro la crisi e limperialismo, guerra di classe per il comunismo». «Contro il fascismo e la repressione organizziamo la rivoluzione». Anche lInternazionale, prima che la polizia penitenziaria accompagni gli imputati fuori dallaula. Mentre in strada, gli «antagonisti» improvvisano un corteo attorno alla casa circondariale con bandiere rosse, lancio di fumogeni e petardi, al grido di «Digos boia speriamo che tu muoia», e «lunica giustizia è quella proletaria».
A due giorni dalla fine del dibattimento, dunque, ieri la Corte ha riconosciuto colpevoli 14 imputati per accuse che vanno, a vario titolo, dallassociazione sovversiva alla banda armata, oltre ad alcuni reati «minori» come il furto a un bancomat, lattacco a una sede di Forza nuova e la rottura di un vetro di una sede di Forza Italia. Le pene più pesanti sono state inflitte a Davide Bortolato e Claudio Latino (15 anni di reclusione), considerati i leader delle cellule milanese e padovana del Partito comunista politico-militare, a Vincenzo Sisi (13 anni e 10 mesi, ritenuto il capo del gruppo torinese) e Alfredo Davanzo (11 anni e 4 mesi), un passato nella lotta armata nei Colp (Comunisti organizzati per la liberazione proletaria) e ora ideologo del Pcp-m. Ancora, la Corte ha condannato a 11 anni e un mese Bruno Ghirardi, a 10 anni e 11 mesi Massimiliano Toschi, a 8 anni e tre mesi Massimiliano Gaeta, a 7 anni Salvatore Scivoli (indicato come l«armiere» del gruppo). Pene minori, poi, per gli imputati che - secondo la Procura - avevano il compito di infiltrazione e propaganda nelle fabbriche e nelle scuole, o avevano fornito supporto logistico per le esercitazioni con le armi: 3 anni e mezzo, dunque, ad Alfredo Mazzamauro, Amarilli Caprio, Federico Salotto e Davide Rotondi, 3 anni e otto mesi per Andrea Scantamburlo, e 10 giorni a Giampietro Simonetto, accusato di aver comperato delle cartucce per un fucile utilizzato per l«addestramento», ma assolto dalle altre accuse. Sono loro, per il tribunale, il Pcp-m, formazione ideologicamente attestata sulle posizioni dell«ala movimentista» delle Brigate rosse e che dalle «vecchie» Br aveva ereditato alcune armi. Terroristi, secondo il pm Ilda Boccassini, «fermati prima che facessero vittime». In totale, quasi 111 anni di carcere. Molti, ma meno di quanti ne aveva chiesti laccusa (198). Assolti da tutte le accuse, infine, Michele Magon, Andrea Tonello e Alessandro Toschi.
Critiche le difese. «La sentenza dimostra come gli spazi democratici siano ormai azzerati, e colpisce la realtà antagonista», commentano gli avvocati Giuseppe Pelazza e Ugo Giannangeli. Che esprimono «perplessità» per la sostituzione di tre giudici popolari, a causa di motivi familiari e di salute, effettuata prima che il collegio entrasse in camera di consiglio. «Hanno scelto la formazione. È un elemento che getta unombra sul rispetto delle procedure».
La Corte, infine, ha stabilito il risarcimento di un milione di euro per la presidenza del Consiglio e centomila per il giuslavorista Pietro Ichino, che per la Procura era nel mirino del Pcp-m. Ma proprio Ichino, ancora una volta, ha teso una mano.
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