Un pugno di Stati deciderà la dura battaglia per il Senato

Colpi bassi in Virginia: per superare l’avversario accuse di linguaggio razzista e sospetta pedofilia

Giuseppe De Bellis

Come sarà la vita a Capitol Hill lo diranno quattro Stati. Undici o dodici punti di scarto non fanno differenza. Governatori, deputati, senatori: il vantaggio complessivo dei democratici è grande, incolmabile e irraggiungibile. Il paradosso è che la partita non è chiusa: la gara più importante è quella del Senato ed è aperta. Per fare il pieno, i democratici devono assolutamente aggiudicarsi due di tre Stati considerati tradizionalmente repubblicani, Missouri, Tennessee e Virginia. Le corse chiave, allora. Quelle che evidenziano lo scarto tra il voto complessivo e il voto relativo. Perché l’America può avere la maggioranza degli elettori schierata da una parte, ma i seggi dati al partito opposto. Così la situazione può cambiare e i sondaggi nazionali possono raccontare solo una mezza verità. Dei 33 seggi in ballo al Senato quelli che contano adesso sono proprio Missouri, Tennessee, Virginia e New Jersey. I primi tre sono Stati in cui i democratici rischiano di scontrarsi con il blocco del voto conservatore e religioso, soprattutto di elettori bianchi che vivono in centri rurali. L’ultimo invece è una roccaforte liberal a rischio. La situazione è strana: il quadro comunque potrebbe mutare fino all’ultimo minuto, dicono molti analisti che ricordano comunque che i democratici - che hanno bisogno di strappare sei seggi senza perderne nessuno per riconquistare la maggioranza - vengono dati al momento per vincenti anche in altri tre Stati chiave, Pennsylvania, Rhode Island e Montana. Se dovessero veramente vincere in questi tre Stati, e in Ohio e in New Jersey, allora l’ago della bilancia passerebbe appunto a Missouri, Tennessee e Virginia. Una vittoria in due di questi tre Stati porterebbe a una maggioranza democratica per 51 a 49, mentre se vincessero in uno solo si arriverebbe alla parità, che di fatto equivarrebbe a una maggioranza repubblicana per il voto del vice presidente, e presidente del Senato, Dick Cheney.
In Virginia i clima è pesante. Di fronte ci sono George Allen e Jim Webb. Allen avrebbe dovuto conservare tranquillamente il suo seggio, ma una serie di errori gli hanno fatto perdere punti. A 50 anni, con dichiarate ambizioni da presidente, l’ex governatore dello Stato che fu di George Washington ha distrutto la gran parte del suo vantaggio per aver offeso un ragazzo con un insulto razzista: l’ha chiamato macaco, che equivale a dare della scimmia a qualcuno. Il qualcuno era un ragazzo di colore che lo seguiva giorno per giorno nella campagna elettorale. Era un giovane dello staff del candidato rivale messo lì apposta per infastidire il senatore. Allen c’è cascato: è andato giù, perdendo punti su punti. Adesso l’errore l’ha commesso lo sfidante: non ha detto di aver scritto pagine con contenuti pedofili e pornografici in un suo romanzo. Lo staff di Allen l’ha scoperto e Webb è andato in crisi: ora è due punti sotto.
Sul filo anche il Tennessee, dove il candidato democratico Harold Ford vorrebbe prendersi il seggio che è stato dell’ex capogruppo repubblicano al Senato, Bill Frist. Ford ha 36 anni, dal 2000 è al Congresso. Vuole strappare ai conservatori un loro bastione: ha un leggero svantaggio, ma potrebbe farcela perché è il democratico più repubblicano che ci sia. È favorevole alla guerra in Irak, è fedele, è nemico dell’immigrazione clandestina. La situazione è simile in Missouri, dove il testa a testa è tra l’uscente Jim Talent (repubblicano) e la sfidante Claire McCaskill (democratica).
Poi c’è il New Jersey. Che pochi considerano, ma può essere determinante: i democratici rischiano di perderlo. Sarebbe una sconfitta epocale, simile a quella che prenderebbero i repubblicani in Tennessee. Rischia l’uscente Bob Menendez, quindi. L’emergente è Tom Kean Jr., erede di una grossa dinastia politica locale. Suo padre Tom Sr.

, è stato tra l’altro presidente della commissione d’inchiesta sugli attacchi dell’11 Settembre. Il problema più grave dei democratici in New Jersey è uno: è lo Stato più corrotto dell’Unione. E tutti i corrotti scoperti sono democratici.

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