Roma

Pullini, la matita «impolitica» che ha raccontato il Ventennio

Istantanee ad acquerello che raccontano una cronaca ironica, puntuta e addolorata, in una rilettura della politica osservata e soppesata dal sentimento popolare. Sono frutto dell’emozione dell’attimo ma dopo un’attenta osservazione, le illustrazioni e i dipinti eseguiti da Pullini nei soggiorni romani, riuniti a Palazzo Braschi fino al 5 settembre, nella mostra «Pio Pullini e Roma. Venticinque anni di storia illustrata (1920-1945)». Illustratore per vari giornali, da La Tribuna Illustrata a L’Urbe, pittore - fu allievo di Giulio Aristide Sartorio - e insegnante d’arte, l’autore vide nella vignetta il mezzo di comunicazione più adatto per parlare a un Paese dove l’analfabetismo era largamente diffuso. I suoi tratti, semplici ma pittorici, profondamente legati allo stile dell’epoca ma moderni, sono «idee» in forma e colore, un nuovo alfabeto studiato per raccontare alle masse ciò che esse stesse rappresentano, regalando loro coscienza e dignità di pensare, criticare e sorridere. È dal riflesso della realtà che nascono le riflessioni. E dalle riflessioni, forse, le rivoluzioni, intese come pensiero e non azione, come sentimento e mai passione. Eppure nei lavori di Pullini la passione non manca, ma si adatta al pubblico, vestendo di umorismo una raffigurazione dura che va ben oltre la caricatura. «Impolitico» per maschera, è, in realtà, politico nell’accezione più ampia del termine, come colui che si preoccupa di città e cittadini. La sua penna è dura, il sarcasmo schiacciante e a volte schiacciato dal quotidiano che offre sempre meno spunti alla battuta. Gli anni Venti sono quelli propositivi, in cui la matita prospetta e proietta soluzioni, chiamando all’impegno l’osservatore. È il limone «nuovo stemma dell’Italia», perché «prima si spreme e poi si butta via». Sono Capitale e Lavoro venuti alle mani per il dominio del mondo, mentre la Fame ne occupa il trono. Con gli anni l’audacia non si stempera ma cerca nuove forme di coraggio. Non c’è più tempo, né bisogno di commentare la storia.

C'è bisogno di mostrarla, scena su scena.

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