Il punto Più Lauda che Fangio sarà un rullo compressore

«La parabola del campione», quante volte me la son sentita richiamare dall’indimenticabile Enzo Ferrari! Alla fine, nei miei 60 anni di Formula 1, ci ho costruito una speciale regoletta, che ha sempre funzionato alla perfezione. Il pilota che giunge tardi sulle piste, vi resta più a lungo, con grande successo. A cominciare da Manuel Fangio, nato nel 1911 e arrivato sulla celebre «Alfetta» nel 1950, per continuare a correre fino al 1958, dopo cinque titoli iridati e ancora tante capacità. Se solo avesse avuto ancora tra le mani la favolosa Mercedes, quella vera, non l’odierna mercenaria, avrebbe nuovamente vinto, dal piglio che gli avevo visto a Buenos Aires («pole» e giro più rapido in gara) e nella triste resa di Reims, per insufficienza... meccanica.
La stessa regola è andata bene per Luigi Fagioli, classe 1898, che ho visto ancora nel 1951, sempre a Reims, in terza fila con l’Alfa Romeo. Non parliamo di Louis Chiron, di Nino Farina, di Piero Taruffi, del «Cabezon» Gonzalez o degli esempi meno remoti, come quello dello stesso Jack Brabham. L’aspetto più discutibile, invece, appare quello del campione precoce: i più giovani, infatti, hanno dovuto fare inesorabilmente i conti con la regola della «parabola», salvo rarissime eccezioni e fatta astrazione dell’altra tragica realtà del passato, relativa alla mortalità frequente.
Ma i problemi odierni sono di natura diversa: si tratta del ritorno, dopo anni di pausa, e delle risorse fisiche, per reggere, nonostante i riflessi ancor buoni, ai 4-5 «g» o accelerazione di gravità: accelerazione, specie lateralmente, non forza, come dicono gli analfabeti della Tv. Sul primo aspetto, non dimenticherò mai quel giorno ventoso a Le Castellet (che atterraggio!), quando andai ad assistere alla prova di rientro di Niki Lauda. Il mio primo incontro fu con John Watson, che rideva sornione: «I nostri attuali tempi sul giro non li farà mai!», mi disse. Sì, nei confronti diretti, specie con il giovane Prost, non ha più strabiliato sul giro secco; ma alla fine il mondiale l’ha vinto lui e quell’emozione dell’Estoril mi sembra dell'altro ieri.

Quindi, i corollari alla citata regola sono che, oltre all’integrità e alla preparazione fisica (non mancano certo a Michael Schumacher), l’ampiezza della parabola è decretata dalla forza di volontà e dalla grande esperienza. Credo che sarà come con Lauda: niente «pole», ma un vero rullo compressore in gara. Come il caro Watson non comprese.

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